«Ma la violenza, la passione selvaggia che Delfini rovescia ancora una volta in queste sue scene di provincia, non avevano mai raggiunto, prima d’ora, un grado di tale intensità. Scrollatosi di dosso l’impegno di ‘raccontare’ il suo mondo di donnacole avide e adorabili, di avvocati famelici, di tristi notai, ecc. (oh, i loro nomi e cognomi!), il poeta riesce a darcene una rappresentazione incomparabilmente più atroce, priva soltanto in apparenza del fren dell’arte. Manca a questa poesia un’unica cosa: il tatto. Ma anche il primo Grosz non ne aveva: e nemmeno Villon, e Campana, ai quali, e non solo psicologicamente, Delfini si apparenta. Le sue parolacce, i suoi turpi calembours, i suoi versi scempi e zoppi: ci par già di sentire la voce di chi gli rimprovererà tutte queste cose, praticando, per distinguere la poesia dalla non-poesia, la solita vieta selezione dei contenuti e delle forme. Noi, dal canto nostro, siamo del parere che ai poeti autentici, come ai santi, sia concesso proprio tutto: la bestemmia, comunque, in primo luogo». – Giorgio Bassani
Presentiamo per la prima volta l’intero corpus delle Poesie della fine del mondo di Delfini: non solo, dunque, la raccolta pubblicata nel 1961 da Feltrinelli sotto questo titolo due anni prima della morte dell’autore, ma anche tutte le altre poesie dello stesso periodo, uscite solo su rivista o interamente inedite, che, sicuramente appartenenti allo stesso gruppo (anzi talvolta, se possibile, più “estreme”), non furono tuttavia incluse nel volume.