Con una nota di Andrea Cavalletti
«… Tutto questo è per me oggi il significato della parola mito. Una macchina che serve a molte cose, o almeno il presunto motore immobile e invisibile di una macchina che serve a molte cose, nel bene e nel male. È memoria, rapporto con il passato, ritratto del passato in cui qualche minimo scarto di linea basta a dare un’impressione ineliminabile di falso; e archeologia, e pensieri che stridono sulla lavagna della scuola, e che poi, talvolta, inducono a farsi maestri per provocare anche in altri il senso di quello stridore. Ed è violenza, mito del potere; e quindi è anche sospetto mai cancellabile dinanzi alle evocazioni di miti incaricate di una precisa funzione: quella, innanzitutto, di consacrare le forme di un presente che vuol essere coincidenza con un eterno ‘presente’». – F. J.
Forse nessuno come Jesi ha saputo tradurre il programma poetico di Rilke nella ricerca di una vita. Scienza mitologica e critica della letteratura divengono nei suoi saggi del tutto impossibili da separare; l’una viene attratta dall’altra, e la loro più intima tensione anima la forma inimitabile di questo libro.
Furio Jesi (Torino 1941 - Genova 1980) ha insegnato Lingua e letteratura tedesca all'Università di Palermo e di Genova. Tra i suoi libri: Letteratura e mito (Einaudi 1968); Esoterismo e linguaggio mitologico. Studi su Rainer Maria Rilke (D'Anna 1976, Quodlibet 2002); Materiali mitologici. Mito e antropologia nella cultura europea (Einaudi 1979); Lettura del "Bateau ivre" di Rimbaud (Quodlibet 1996); e, con K. Kerenyi, Demone e mito. Carteggio 1964-1968 (Quodlibet 1999).