Fino ad oggi le interpretazioni di Wittgenstein si sono modellate per lo più sulla frase del Tractatus per cui "i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo". Si è pensato cioè che ogni accesso alla realtà dovesse cadere all'interno del linguaggio e non vi fosse spazio quindi per un problema della sensibilità in quanto tale, come forma di esperienza autonoma rispetto alla parola. Eppure, nei suoi ultimi scritti Wittgenstein tende continuamente a isolare un piano espressamente qualificato come "prelinguistico", "istintuale", "primitivo", fino a riproporsi di "considerare l'uomo come un animale, come un essere primitivo cui si fa credito bensì dell'istinto, ma non della facoltà di ragionamento". Qual è il vero rapporto tra questo piano di appartenenza primaria alla vita e l'insieme delle pratiche logico-linguistiche? È possibile che Wittgenstein avesse in mente proprio quest'intreccio tra forme di vita e giochi linguistici quando, a pochi giorni dalla morte, scriveva che "qui nel mio pensiero c'è ancora una grossa lacuna. E dubito che verrà mai riempita"?
Alcuni dei più noti ricercatori italiani hanno discusso insieme questa rete di problemi, con l'intenzione di mettere a frutto l'eredità filosofica di Wittgenstein in una direzione capace di confrontarsi con gli sviluppi più avanzati nel campo della biologia e delle neuroscienze. Il risultato è un libro che arricchisce e trasforma profondamente l'immagine, ancora incompleta, di uno dei grandi protagonisti della filosofia contemporanea.
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