Recensioni / Il giardino in movimento

Se cercate il dipartimento della Creuse su Google Maps l'indicazione cade in un posto non lontano dalla strada tra Guéret e Aubusson, lungo il bordo sfrangiato e vagamente sfocato che separa una foresta da una piccola radura. Uno di quei luoghi di margine, di confine tra luce e ombra, che Gilles Clément chiamerebbe oggi di "Terzo paesaggio". Tutto è cominciato qui, o meglio a qualche chilometro da qui, nel terreno che Clément acquista nella regione alla fine degli anni settanta e dove conduce il nocciolo delle esperienze che vengono raccontate ne Il Giardino in movimento.

Il primo libro di Clément è a tal punto un'opera di culto che, benché questa di Quodlibet sia la prima traduzione, prima della sua pubblicazione si potevano già incontrare traduzioni sotterranee, scambiate di mano in mano come tra i membri di una setta, proprio come accadeva per certi trattati settecenteschi. E del trattato settecentesco Il giardino in movimento ha il carattere fondativo, il tentativo di ricondurre l'esperienza ai suoi tratti essenziali. Come la capanna dell'abate Laugier, il giardino della Creuse è la matrice di tutte le esperienze possibili, il luogo a partire dal quale portare avanti un ripensamento del proprio sapere pratico.

Quali sono queste esperienze? Clément lo annuncia presto portando in primo piano una parola, la parola friche (area dismessa), che ha un ruolo centrale nel libro. Il terreno della Creuse è stato acquistato in uno stato di semi-abbandono e una parte della scommessa consiste precisamente nel fare un giardino rispettando questa condizione il più possibile. Il nodo teorico è il rapporto tra forma del giardino e energia: se il terreno, lasciato a se stesso, tende ad andare in certe direzioni, il compito del giardiniere non dovrebbe forse consistere nell'assecondare e guidare le forze presenti sul luogo, riaggiustando di conseguenza le proprie aspettative formali? Disegni che schematizzano il passaggio dalla friche, il cui sviluppo naturale evolve in un tempo che va dai tre ai quattordici anni dopo l'abbandono, al climax, il livello ottimale di vegetazione.

Di qui all'aneddotica sulla rivalutazione delle erbacce, dei rovi e delle talpe il passo è breve. Quello che è importante de Il Giardino in movimento è però un'altra cosa, cioè un'idea di giardino legata a una nozione di abitare, alla capacità di comprendere e rispettare i comportamenti e le logiche del mondo vivente, anche se questo non significa non fare nulla. Il giardiniere di Clément è un curioso esemplare di boscaiolo-scienziato che ha anche qualcosa dell'improvvisatore jazz: uno che, mentre taglia i fili d'erba in canottiera, riconosce ogni pianta e prende decisioni istantanee sulla base di conoscenze di grande spessore. Piantato nel mezzo della complessità della natura, osserva e ascolta, partecipa del flusso di informazioni che struttura l'ambiente, e prende su di sé (abitare significa anche questo) la responsabilità di fare delle scelte.

"Un'idea di giardino legata a una nozione di abitare, alla capacità di comprendere e rispettare i comportamenti e le logiche del mondo vivente, anche se questo non significa non fare nulla." Che tutto sia cominciato col giardino della Creuse Clément lo ha affermato la prima volta in questo libro e lo ha poi ripetuto così spesso che in molti abbiamo finito per credergli. Dalla prima edizione del 1991, per la minuscola casa editrice Pandora, il libro è cresciuto progressivamente, incorporando di volta in volta nuove esperienze (il famoso Parc Citroën) e trasformandosi nel tempo in una specie di monografia. È anche, per altri versi, un manuale: nessun altro libro di Clément spiega in maniera così dettagliata "come si fa". Se volete comprare un terreno nella Creuse e provare anche voi, potete probabilmente farlo. Questo è in ogni caso un libro molto diverso dal Manifesto del Terzo paesaggio, il libro del 2004 che ha inaugurato una fase nuova nella riflessione di Clément e che è piaciuto un po' a tutti, tranne forse ai paesaggisti.

Oggi sono in molti a sembrare convinti che Clément sia interessante perché è un teorico del giardino informale, della progettazione spontanea, e di altre amichevoli nozioni di ispirazione sixties. Il giardino in movimento, va detto, non sempre aiuta a smentire letture di questo tipo: si occupa molto di questioni estetiche e non evita qualche ammiccamento quando serve (l'immagine del titolo, quella di un giardino che "si muove", può ricordare gli Archigram). Tuttavia, il nucleo del lavoro di Clément consiste piuttosto nel mettere in scena un incontro/scontro tra le "due culture", nel cercare una base scientifica per la propria riflessione letteraria e viceversa, nel proporre uno stile intellettuale gronde, proprio nel senso di fondato su un terreno. Bene fa Quodlibet a spingere in questa direzione, aggiungendo una cosa, e una sola, all'edizione italiana rispetto alle varie edizioni francesi: un Repertorio delle piante citate splendidamente curato da Enrico Scarici, pagine e pagine di indice con tutti i nomi latini al loro posto. Ora vado a leggermelo, poi ne riparliamo.

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