Eugenio De Signoribus, Memoria del chiuso mondo
Dopo Principio del giorno, salutato da Giovanni Giudici come «un bellissimo e intenso libro di poesia (un vero “addio” al Novecento)», Eugenio De Signoribus si ripropone con una plaquette di fermo valore civile, confermando un’inclinazione già individuata da Agamben. Seguendo la strada dei poeti di “Officina” (Pasolini e Roversi) ma, soprattutto, Paolo Volponi in quella che sembra una sorta di linea engagé marchigiana, potendo associarvi Gianni D’Elia seppure con modalità e forme di ben altro tipo, De Signoribus ha pubblicato questo poemetto centrato sugli orrori della guerra in Afghanistan.
De Signoribus conferma qui la sua predilezione per le forme chiuse della tradizione, rivitalizzate sia sul piano di una continua reinvenzione metrica e sia su quello del linguaggio con una peculiare creatività lessicale. Aprendo le pagine di questo poemetto ci si trova infatti di fronte a una serie di sestine orchestrate su una base ritmica breve, tra il settenario e il novenario, a mo’ di lunga canzonetta. Una scelta di forte stridore espressivo se si pensa all’incalzare di «corpi stesi corpi morti» o «colpi in testa colpi in schiena» con i quali contrasta la cadenza filastroccante fondata anche su un’insistita rima per lo più piana.
La canzonetta sembra mimetizzare l’orrore visto da quei bambini, «cenciarelli», che lo subiscono per poi metabolizzarlo e trasporlo su una realtà quasi avvolta dal fiabesco. Il poeta, come tutti noi lettori, è suo malgrado dalla parte del «civile occidentale» sotto il cui «occhio consensuale» tutto quanto è scoppiato. Appare del tutto scomparsa l’ironia di un tempo che consentiva a De Signoribus di osservare «la civile forza occidentale» – giocando sulla parola fortezza come luogo fisico ma anche come presunt qualità morale. Comunque sia non c’è nei suoi versi traccia di rassegnazione di fronte all’orrore. la sua poesia, come afferma Andrea Cavalletti nella pastfazione al volume, «esprime con lucida misura i tratti di un mondo che al suo cospetto non certo scompare, ma incombe ancora più minaccioso».