Recensioni / Una casa è una casa: l'architettura è un gesto

Daniele Pisani racconta con grande sobrietà la storia della casa sulla Kundmangasse, progettata da Engelmann e Wittgenstein e realizzata da Wittgenstein nel periodo 1926-28. Pisani mette assieme con calma tutti i pezzi necessari a comprendere la casa ed il suo ruolo nell'evoluzione del pensiero di Wittgenstein: descrive con precisione la vicenda biografica del filosofo e delle sue sorelle coinvolte nel progetto (Margaret, ma anche Hermine), ci informa sulla vicenda familiare dei Wittgenstein, sulla situazione politica e culturale di Vienna e dell'Austria contemporanee, ricostruisce il dibattito architettonico in cui la vicenda della casa (a malavoglia) si inserisce. Il tono pacato e la completezza del racconto permettono di eliminare le molte leggende che, nel tempo, si sono accumulate sulla casa. La casa sulla Kundmanngasse è infatti uno dei soggetti preferiti per il dilettantismo filosofico degli architetti (seconda in questo solo all'esegesi di "Costruire, abitare, pensare" di Martin Heidegger) e per il dilettantismo architettonico dei filosofi (si pensi alle balorde interpretazioni che vedono nella casa una filosofia pietrificata, una logica fatta casa, hausgewordene Logik). Pisani analizza la casa sulla Kundamgasse senza sopravvalutare alcuni famigerati aneddoti, ci fa la grazia di trattare la casa come una casa e di osservare il lavoro di Wittgenstein come progettazione e direzione lavori. Da questo racconto equilibrato possono quindi emergere le due questioni fondamentali che vengono affrontate nel libro: il tono dell'opera architettonica di Wittgenstein e le conseguenze dell'esperienza della costruzione della casa sulla sua attività filosofica successiva.
Il lavoro, a tratti massacrante, di Wittgenstein per la casa nella Kundmanngasse ha infatti una caratteristica singolare. Wittgenstein non mette mai in discussione il progetto iniziale di Engelmann: "Il progetto approvato da Wittgenstein e poi realizzato parte da un impianto già approntato non solo da altri, ma per un altro sito e con un diverso orientamento, limitandosi ad eliminare i superstiti elementi decorativi e, soprattutto a sottoporlo a piccoli e marginali –o almeno questo è quanto appare di primo acchito – adattamenti." (Pisani, p. 55) Wittgenstein dedica tutti i suoi sforzi a risolvere i problemi architettonici già previsti dal progetto iniziale, senza nemmeno considerare la possibilità di agire ad una scala più grande, ridiscutendo l'ipotesi di partenza. Il lavoro progettuale è curiosamente bloccato. Wittgenstein progetta le stanze (di cui disegna tutto: porte, finestre, maniglie, lastre di pavimento, lampade, radiatori), ma non progetta la casa. Wittgenstein è del tutto indisponibile a considerare anche solo la possibilità di un salto di scala [qui forse emerge un tratto caratteriale ed una analogia con la sua riluttanza ad ammettere passaggi logici troppo disinvolti: "la dove gli altri procedono io mi fermo" (LW, Pensieri diversi, p. 126)]. Le mosse dell'architetto agiscono tutte allo stesso livello. Le contraddizioni non si risolvono perché viene da subito esclusa la possibilità di definire una gerarchia tra differenti esigenze. Il lavoro sulla partizione delle lastre dei pavimenti delle stanze del piano nobile, a cui Pisani dedica una dettagliatissima analisi (arricchita dai puntuali disegni di Salottobuono e Alessandra Dal Mos), riflette questo modo di progettare. La partizione delle lastre tenta di costruire, stanza per stanza, un ordine che viene sistematicamente messo in crisi dalla necessità di adattare il pavimento alle bucature che collegano tra di loro le varie stanze. Wittgenstein disegna il pavimento di ogni stanza come un'entità a sé, a cui cerca di attribuire ogni volta un ordine regolare e di cui ogni volta scopre l'impossibilità. I pavimenti, in un raffinatissimo gioco di adattamenti ed eccezioni, sono così tutti diversi: "a un'attenta analisi della planimetria del piano nobile della casa sulla Kundmangasse emerge così il tentativo, da parte di Wittgenstein, di perseguire la simmetria nella disposizione di ciascun ambiente autonomamente inteso; la differenza dimensionale tra i vari vani e l'aprirsi dell'uno sull'altro, influenzando e alterando le reciproche configurazioni, rendono però tale istanza quasi sempre impossibile da perseguire e si traducono nell'istanza di perseguire perlomeno il disegno simmetrico delle singole pareti […] la logica che organizza la casa è in prima istanza paratattica: ogni ambiente ha un suo proprio ordine, che tuttavia si scontra con quello degli altri, e ancora prima di ogni ambiente vi aspira ciascuna delle pareti che lo definiscono e, spesso, ciascuna delle parti in cui esse sono suddivise, e persino alcuni degli elementi che vi sono collocati." (Pisani, p. 87).

La caparbietà con cui Wittgenstein cerca di seguire le regole che si autoimpone nella progettazione e nella realizzazione della casa ed i compromessi a cui questi tentativi devono rassegnarsi avranno importanti conseguenze sulla sua produzione filosofica successiva. La minuziosa analisi di cosa significhi seguire una regola che si sviluppa in tutti i materiali che poi confluiranno nelle "Ricerche filosofiche" si nutre dell'esperienza personale come progettista. Pisani ritrova nell'analisi della regola che permea l'opera filosofica di Wittgenstein le tracce del suo impegno come architetto: "Nel caso di un progetto di architettura, è evidente che uno degli scarti consiste nella sua esecuzione; e il problema della trasmissione delle informazioni agli esecutori, esperito nel corso della realizzazione della casa sulla Kundmanngasse, deve aver dato a Wittgenstein argomenti su cui riflettere, se è vero che si è imposto come un tema ricorrente – e un esempio tipico – nella sua riflessione. Già tale scarto risulta incolmabile: "Tra l'ordine e la sua esecuzione c'è un abisso" (LW, Ricerche filosofiche, I, 413). Alcuni indizi suggeriscono d'altronde che, nel progettare la casa, Wittgenstein si sforzi di chiudere, per quanto possibile, tale abisso. In questo senso parla un appunto degli anni trenta: "Un'eccellente osservazione di Engelmann che ogni tanto mi ritorna in mente: Durante i lavori di costruzione, quando lavoravamo ancora insieme, mi disse dopo una conversazione con l'impresario edile: "lei non può parlare di logica con quest'uomo!" – Io: "Gli farò capire io la logica" – Lui: "E lui le farà capire la psicologia!" (LW, Movimenti del pensiero. Diari 1930-32/1936-37, p. 42)" (Pisani, p. 133).

Il titolo del libro di Pisani riporta un appunto di Wittgenstein: "L'architettura è un gesto. Non ogni movimento funzionale del corpo umano è un gesto. Come non è architettura ogni edificio funzionale." (LW, Pensieri diversi, p. 87). Pisani discute questa frase a partire dalla distinzione di Adolf Loos tra ciò che è architettura e ciò che non lo è. Resta una questione: di chi è il gesto che costituisce l'architettura nell'appunto di Wittgenstein? Osservando l'attività progettuale di Wittgenstein per la casa sulla Kundmangasse, sembra che il gesto di cui si tratta non sia quello degli abitanti della casa, ma quello dell'architetto. Wittgenstein usa gesto al singolare; il gesto esposto dall'architettura è solo uno. L'architettura non accoglie, o protegge, o suggerisce, o proibisce gesti, ma si identifica con un gesto. Anche il metodo progettuale che sembra venire alla luce osservando la vicenda della casa sulla Kundmangasse è decisamente singolare, ha qualcosa di primordiale ["Wittgenstein ha il grande dono di vedere sempre le cose come per la prima volta" (lettera di Friedrich Weismann a Moritz Schlick del 9 agosto 1934) Pisani, p. 41 nota]. Wittgenstein sembra operare come un architetto dorico, rigorosamente dedito alla soluzione di un problema geometrico e formale insolubile (ad esempio trovare una soluzione angolare che combini il ritmo regolare dei triglifi, la posizione terminale dell'ultimo triglifo del fregio e la corrispondenza assiale del triglifo terminale e della colonna corrispondente) e del tutto disinteressato alle conseguenze che lo spazio produce sui suoi possibili utenti. Solamente, rispetto ad un tempio dorico, in cui tutto corrisponde a questo eroico e fallimentare tentativo, la casa sulla Kundmanngasse è in qualche modo più maldestra. In fin dei conti Wittgenstein applica il suo furore dorico ad un'ipotesi del tutto inserita in un'altra logica architettonica (quella della tradizione romana che Adlof Loos e il suo allievo Engelmann consideravano unica maestra di ogni buona architettura). Forse quello che Pisani si trattiene dal dire è che, in fin dei conti, pur con tutta la sua ostentata austerità, la casa sulla Kundmangasse è anche piuttosto buffa.