Recensioni / Patria e psiche

Su Nievo, o meglio e in particolare, sulle Confessioni di un italiano la critica recente si è concentra-ta in modo consistente, portando alla luce il valore e la complessità di un romanzo fino agli anni 80 ancora in buona parte “minore”. Ne sono testimonianza gli interventi di due maestri della critica, Dionisotti (1983) e Mengaldo (1984), le ricerche di Marcella Gorra, le edizioni critiche di Roma-gnoli (1998) e di Simone Casini (1999, corredata da un corposo saggio e ricche note), gli ampi studi che offrono una lettura complessiva del romanzo di Cortini (1983), Maffei (1990), Allegri (1995), Acosta-Hauser (1997), Falcetto (1998), Olivieri (1990 e 2002). Su questa linea che dimostra la vi-tale fecondità per la critica del romanzo di Nievo, anche rispetto ai grandi libri dell’800, I promessi sposi o I Malavoglia e il Mastro-don Gesualdo, su cui le riletture organiche sono più rare, si inseri-sce il saggio di Alejando Patat, Patria e psiche. Saggio su Ippolito Nievo. Si tratta di un volumetto che raccoglie tre studi sul romanzo. Sicuramente innovativo e meritevole di discussioni e approfondimenti è il terzo saggio che indaga le dinamiche psichiche del romanzo, leggendone le contraddizioni del rapporto tra Carlino e Pisana; mentre gli altri due interventi offrono prospettive più specifiche e collaterali.

Dapprima Patat rilegge il diario di Giulio, una biografia esemplare che si rifrange quasi come microorganismo sull’intera vicenda delle Confessioni. Abitualmente letta come una vicenda di espiazione – di «colpa» e «castigo», corregge Patat citando le parole di Giulio –, essa è in realtà una spia dell’allargamento della frontiera ideale del romanzo. La lotta per l’italianità, estendendosi fuori Eu-ropa (e gli esili sudamericani sono stati sottovalutati dall’agiografia risorgimentale), diventa lotta per la conquista di identità sofferte, per una «libertà transnazionale ed extraeuropea» (p. 24). Par-tendo dal bel commento di Casini, e ricostruendo opportunamente i riferimenti nieviani all’America, per Patat si può cogliere nel Sudamerica di Nievo (il Nord America è negativamente segnato dall’affarismo e dal denaro) l’immagine mitica di un luogo naturale e senza storia.

Nel secondo saggio, seguendo Rousseau per cui «la similitudine non è una forma della verità delle cose, è una strategia di approccio a quella verità che sfugge tra le mani» (p.32), Patat mette in rilie-vo la centralità di similitudini, analogie e metafore nelle Confessioni e in particolare il risvolto natu-ralizzante e concreto dei loro riferimenti, a fronte di un uso invece retorico e letterario della stessa figura che riguarda ad esempio il Padre Pendola o lo stesso Carlino, quando per arringare la folla di Portogruaro ricorre al vuoto della metafora, che «scambia cose con parole». Ma l’aspetto più inte-ressante mi sembra l’osservazione del rilievo che alcuni episodi della biografia assumono nel ro-manzo, ricorrendo con valore di simbolo – «talismano» dice Nievo – e traducendosi in potere meta-forizzante della memoria.

È sul fronte dell’indagine psichica e delle dinamiche di trasformazione del rapporto tra Carlino e Pi-sana che il volume però offre una lettura più profonda e significativa. Da una parte Patat avvia quel-la che, a mio avviso, dovrebbe essere un’inchiesta sulla dinamica amorosa tra i due protagonisti del romanzo, troppo spesso letta in sintonia col punto

 di vista del personaggio o del narratore. Corret-tamente il critico coglie nella relazione sentimentale irrisolta una dinamica sadomasochistica di fondo. Tra i due personaggi è Carlino a incarnare il ruolo della vittima, a viversi - specificherà meglio Patat - nel ruolo di vittima, non senza un certo compiacimento. Nella seconda parte del roman-zo, con la maturità la relazione si trasforma e in un certo senso le parti si invertono: sarà Pisana ad

assumere la scelta del sacrificio. Ma naturalmente il legame sadomasochista prevede una costante commistione e un’accettazione reciproca delle parti di vittima e carnefice.

In questa dinamica complessa giocano una funzione centrale le incomprensioni di Carlino, vittima per così dire del proprio ruolo di vittima, ma anche quelle del Carlo narratore anziano, solidale col proprio io giovanile. E si potrebbe aggiungere anche il persistere di una certa ottocentesca immagine negativa del femminile, che il romanzo volutamente ma anche implicitamente rimette in questione. Pisana appare «volubile», «capricciosa», «impulsiva», mentre Carlino è «contraddittorio», «pas-sionale», «naturale e istintivo» dice Patat. E il giudizio considerato parziale e misogino per la rela-zione matura potrebbe essere esteso anche alla dinamica infantile.

Patat osserva opportunamente che quella che potremmo chiamare la dilatazione dell’infanzia nel romanzo, la sua estensione in termini di spazio narrativo e di paradigmaticità per la vita adulta ha una funzione modellizzante. L’esperienza infantile è rivelatrice di un’essenza psicologica, con funzione simbolica, fondativa dell’esperienza relazionale, per cui si può dire che il personaggio si adoperi per «liberarsi dalle fome consolidate nell’infanzia» (p.75). In questo ci si può spingere oltre, cogliendo un tratto di profonda modernità nieviana, per cui la relazione tra Carlo e Pisana agisce nella forma di una coazione a ripetere, riproponendo meccanismi consolidati nei primi anni di vita e segnati dalla funzione simbolica della prima scena d’amore, quando Pisana accorre nel letto di Carlino punito e gli lascia in talismano la ciocca di capelli. Patat ha il merito di individuare la centralità psichica della scena del ritrovamento della madre da cui discenderebbe una «delirante convinzione di aver ucciso la propria madre» come «colpa fondativa» della “malattia” psichica di Carlino (p. 102). Se ne deve dedurre la profondità dell’osservazione e indagine psichica del romanzo che sug-gerisce sensi di colpa e deviazioni depositate in complessi infantili, a cui pure la sindrome dell’abbandono potrebbe essere aggiunta nel declinare la personalità del Carlino vittima.

Ma anche per tali ragioni ritengo che la lettura della trasformazione di Pisana nella maturità da carnefice a vittima, proposta da Patat, non sia in realtà una vera trasformazione, come invece la mag-gior parte delle trasformazioni – ma sarebbe meglio dire conversioni – operate nel romanzo, laddove, partendo da un originario errore di direzione il personaggio si rovescia in senso opposto, final-mente in sintonia con la corrente progressiva che spinge verso l’acquisizione dell’identità nazionale. Già nell’infanzia infatti la contraddizione del rapporto amoroso è più complessa, se riletta tenendo conto del punto di vista di Pisana. «La volubilità permanente in lei – cifra inequivocabile della sua indole» anche se come «segno della schiavitù di sé creata da lei stessa» (p. 91) è in realtà sempre il frutto di una valutazione dell’io narrante, che non sfugge al topos delle mutevolezza femminile, ma fin troppo spesso risulta smentito, quando emergono le ragioni che avevano indotto la Pisana a mu-tar comportamento; e si tratta quasi sempre di reazioni alle parallele contraddizioni o volubilità di Carlino medesimo. Motivo per cui si potrebbe parlare nelle Confessioni del fanstasma di un roman-zo alternativo, il romanzo di Pisana, qualora si rileggesse la storia alla luce delle tardive rivelazioni delle ragioni dell’eroina, mal assunte dal narratore benché saggio e apparentemente imparziale. E Patat conviene che «la narrazione di Carlo è soggettiva e parziale, o quantomeno fuorviante, è intri-sa di quella logica vittimistica che gli impedisce di vedere chiaramente ciò che effettivamente succede. La descrizione della Pisana va ricondotta al discorso personale e sofferto non solo di chi è sta-to vittima ma di chi ha assunto per sé il ruolo di vittima.» (p. 95)

E in questo senso l’autore di Patria e psiche indica il valore profondo e le implicazioni narrative dclla parziale attendibilità dell’ottica dell’io narrante, non soltanto diviso tra sé attore e sé narratore anziano, ma anche interprete di parte delle ragioni degli altri personaggi, primo fra tutti la Pisana. Se ne può concludere che Nievo «ha costruito un romanzo modernissimo, in cui la verità va cercata negli indizi dispersi qua e là nel testo. Anzi, è probabile che per l’autore non ci sia neanche una sola verità» (p. 114). Col che siamo al nocciolo della problematica amorosa del romanzo: Carlo e Pisana si percepiscono a un tempo vittime e carnefici, fino ad autoaccusarsi di sadismo. E il critico può commentare: «sopravvive chi è capace di morire. Perché costringe l’altro a vivere nel ricordo com-punto della colpa, cifra squisita del rapporto» (p. 117). Tale «cifra squisita» coglie, a mio parere, il piacere di una relazione intessuta di rinunce e autopunizioni, con la reciproca percezione di eroismo amoroso, cui non è estranea neppure la vicenda di Clara e Lucilio. E per di più l’irriducibile fedeltà sentimentale spinge alle estreme conseguenze l’idea romantica di dedizione amorosa, travalicando ogni ostacolo e ogni convenzione sociale: consanguineità (non va dimenticato che Carlo e Pisana sono cugini), differenza di classe, matrimoni, vincoli e rapporti sessuali. Patat ha dunque dissodato il terreno fecondo dell’indagine sulla controversa vicenda amorosa prin-cipale del romanzo. Lungo questa strada può sedimentare l’idea che le Confessioni di un italiano sono il primo grande romanzo della psiche nella cultura italiana. La risposta romantica ai Promessi sposi la cui vicenda sentimentale è eccezionalmente lineare sul piano interiore, priva di incertezze e perturbamenti psicologici.