Recensioni / Memoria del chiuso mondo

Quando qualcuno si dedicherà a comprendere, seriamente, al di là d'ogni contingenza, che cosa è stato il pensiero sulla vita e sulla poesia di questa regione che non grida e non affida al clamore l'espressione plurale della sua identità, allora si coglierà, nel profondo, una radice lontanissima che ha prefrrito le distanze minerali alle facili gratificazioni di superficie. Così è stato, ad esempio, il lavoro silenzioso e segreto di scrittori e poeti che hanno definito il Novecento marchigiano e italiano: Bruno Barilli, Mario Puccini, Ugo Betti, Luigi Bartolini, Fabio Tombari, Dino Garrone,
Acruto Vitali,  Scipione, Libero Bigiaretti, Bruno Fonzi, Plinio Acquabona, Franco Matacotta, Paolo Volponi, Luigi Di Ruscio, Franco Scataglini, Luciano Anselmi, Massimo Ferretti, Ercole Bellucci, Remo Pagnanelli. Ognuno di loro, per vie diverse, ha segnato un percorso memorabile consegnando, al tempo e alla storia, uno sguardo fermo sul mondo e sull'esistere nel mondo. Ognuno di loro ha scelto una misura adeguata perché il pensiero trovasse la sua corrispondente forma espressiva e si facesse "stile" del dire, inconfondibile modo per testimoniare una vocazione. Il presente prosegue quel viaggio fitto di stazioni proponendo la perenne difficoltà ad essere riconosciuto. La tendenza, si sa, è quella di considerare con distrazione i segni correnti e la fatica consiste nel riuscire a guardare con attenzione a ciò che c'è prossimo e si avvicina al nostro ascolto. Per questo, complice lo spazio, mi limiterò ad indicare alcuni percorsi recenti affinché il lettore possa volendolo, seguirli.
"Memoria del chiuso mondo" di Eugenio De Signoribus (Cupra Marittima, 1947), che esce nei rigori tipografici e di scelta della Quodlibet di Macerata, ci approssima, in versi e in prosa, al dramma senza aggettivi della guerra e al senso d'una tragica, quotidiana verità spietata dei profughi, dei fuggitivi dal male e dal bisogno cui neanche un barlume di dignità è riconosciuto, se non la sommersa identità muta della niorte (L'"incidente" che affonda la nave albanese col suo carico di senza nome) che De Signoribus tocca con la grazia ferita della pietà che sente la storia e il suo male.
"Corpo di guerra" si intitola il libretto di Lucilio Santoni (Ascoli Piceno, 1963), edito  dalla Stamperia dell'Arancio di Grottammare, composto anch'esso di due parti che scheggiano l'orrore impietrito degli "umori" quotidiani di una distruzione incessante, sequenza infinita di un film che replica l'orrore e lo strazio oltre i confini sensibili. (L'opera musicale omonima, sulla base di questi testi, è apparsa ne "I CD del Manifesto"). Per le Edizioni Quattroventi di Urbino vede la luce il secondo quaderno – "Sopra la poesia" – nella collana "le dilettante" diretta, con esclusiva perizia, da Katia Migliori, cle prosegue la sua intensa ricerca sul senso e sul pensare (dentro una fedeltà pasoliniana irrinunciabile) partendo dalle anastatiche domande sulla poesia poste dalla rivista "Nuovi Argomenti" nel marzo-giugno 1962 e a cui rispondono autori contemporanei consegnando l'ampiezza e la profondità di un respiro che trema, in nocen te ed indifeso, sul confine d'un "orrendo" presente.