Recensioni / Ma davvero un buon libro vale una guerra?

L'esperienza, ovvero la possibilità di vivere un avvenimento per poterne scrivere, è davvero finita? Il tema circola da qualche tempo, fatto proprio da scrittori e critici. Ora lo riprende in un bel saggio pubblicato da Quodlibet (Senza trauma. Scrittura dell'estremo e narrativa del nuovo millennio) Daniele Giglioli, fra i primi in Italia a sollevare il problema, mettendolo in rapporto al fatto che gli scrittori, proprio perché non hanno avuto traumi e quindi esperienza degli eventi, le sparano sempre più grosse. Il risultato è una scrittura dell'eccesso, e un manierismo della crudeltà. Il discorso è complesso. Semplificando, vorrebbe dire che gli autori contemporanei non avrebbero più traumi perché «la televisione è stata il nostro Vietnam», come spiega Giglioli. In altre parole, ha cambiato il modo di vivere l'esistenza quotidiana, «requisendo» le esperienze e rendendo tutto eguale, tutto un po' finto. Ora, che gli scrittori «esagerino» è indubbio. Siamo sicuri che sia tutta colpa, al solito, della televisione, che sequestra vita, morte, amore, pace, guerra, insomma le cose importanti della vita (elezioni comprese)? Per Filippo Tommaso Marinetti la guerra era la sola igiene del mondo. Un ritorno a quella «esperienza» non sembra così raccomandabile.