Recensioni / Memoria del chiuso mondo

Eugenio De Signoribus Memoria del chiuso mondo Quodlibet 2202

Poesie d’accusa verso i soggetti (le superpotenze) che determinano situazioni terribili e d’orrore (le guerre su popoli inermi); poesie inquiete per le sorti della terra e di noi tutti e di larga pietà per i morti sempre senza colpa; poesie taglienti (per chi resta indifferente) in “Memoria del chiuso mondo” di Eugenio De Signoribus. I versi, che già per altre raccolte abbiamo detto civili, nell’ultimo libro di De Signoribus si illimpidiscono per lo più in sestine epico-liriche, cantilenate come lapidi, come a segnare un luogo, un limite, come a indicare un avvertimento, un avviso posto lì a bella posta perché non possa essere ignorato e venga letto. Perché si sappia: “tutti dentro gli assassini / gli assassini tutti fuori / una tavola di legge / li separa nei valori… / quando caIano le bombe / portan giu manna e clamori // ora tremano i bambini / con i vecchi nelle soste / ora vanno nella notte / su carretti e somarelli / ora a piedi e cenciarelli / verso un luogo di frontiera”.
Perché la normalità, che impongono come tale, è mortale per le coscienze “la vendetta ora è normale / dice chiaro il comandante / mentre il bianco generale / parla stanco e intermittente... / e la gente meno sente / meno vede meglio sta”. Se ne stanno, i comandanti, nel palazzo della grande piazza protetto da fioriere, blocchi di marmo e alte cancellate, da figure armate e mascherate e poi scendono nella scalinata, per la foto di gruppo. Ma basta osservare più attentamente per vedere pieghe alle bocche, I’“ordine gommoso” del loro essere insieme e del loro disegno di morte. E per rendersi conto anche di “popoli che premono sulla fissità dello schema: / s’accendono, impugnano, spiètrano…, vegliono / aprire il vero, il cielo…”. Se è riconoscibile l’Afghanistan nelle sestine della sezione eponima del libro, la data luglio 2001 (nelle poesie punire, occupare, vigilia) della sezione “Altre chiuse” forse non arbitrariamente richiama il luglio di Genova il luglio di Carlo Giuliani e del G8: da un lato la separatezza in cu si mettono i potenti, dall’altro chi ha a cuore, nel cuore politico delle cose, l’umanità versus il potere, la solidarietà versus la rapina mascherata da intervento umanitario. Anche a non voler forzare sulla cronaca un testo aperto a pietà e ironicamente riflessivo su potenti e potentati, “Memoria del chiuso mondo” immette dentro il reale e si snoda fermo e poetico, per divenire - secondo lo scritto critico di Andrea Cavalletti posto in chiusura – Musichetta politica.
Non “canta”, tuttavia, Eugenio De Signonbus, come tanta poesia pur bella ha fatto ieri e fa oggi, gli orrori. Vi guarda dentro: dentro il prima, dentro il durante, dentro il quale cerca i fratelli di testimonianza, quelli che mantengono l’identità del “seminare” per un nuovo mondo. Senza pingui re solo tesi a distruggere.