Nel novero di quanti
propongono da tempo di ridefinirle, di considerarle e affrontarle
diversamente va senz'altro incluso Gilles Clément, che insegna alla
École Nationale Superiéure du Paysage e che ha esercitato ed esercita
una grande influenza su quanti oggi si occupano di giardini e paesaggio.
I suoi libri,
ampiamente tradotti in Italia, sono una rivoluzionaria miniera di idee,
progetti e suggerimenti che - come in quello recentemente pubblicato da
Quodlibet - mirano alla realizzazione di Il giardino in movimento, (pp.
319, euro 28), un luogo in cui si rinuncia all'immutabilità e alla
conservazione di un ordine prestabilito, per affidarsi alla
imprevedibilità di piante che scompaiono e riappaiono a loro piacere. E
un luogo, anche, la cui magnifica spontaneità ha spinto alcuni
sconcertati parigini a definire «maltenute» le creazioni di Clément,
come il Parc André Citroën, ma che in realtà esige un lungo lavoro e una
rigorosa progettazione resa evidente dagli schizzi del paesaggista
(presenti nel libro), oltre a richiedere reciproca capacità di
adattamento ai giardinieri e alle piante, che hanno smesso di essere
erbacce perseguitate per diventare amabili «vagabonde» (da leggere, in
proposito, un altro libro di Clément, Elogio delle vagabonde. Erbe,
arbusti e fiori alla conquista del mondo, uscito lo scorso anno da
Derive Approdi, che tratta in modo diverso gli stessi argomenti
affrontati da Mabey ).
Così, tra racconti di come sono nati alcuni
giardini in movimento e splendide foto scattate dall'autore, il libro
mostra come le teorie di Clément, esposte nel suo Manifesto del Terzo
paesaggio (Quodlibet 2005), prendano corpo e si trasformino in realtà,
facendo sì che il giardiniere diventi un «guardiano dell'imprevedibile»
che accompagna il divenire del paesaggio e se ne fa accompagnare.