Recensioni / Nauman e Cattelan: l'arte che piace oggi è nata dalla cera

Il 21 ottobre del 1925, venti sculture di Constantin Brancusi sbarcarono nel porto di New York. Per le leggi doganali, l'arte poteva circolare liberamente. Ma i prodotti manufattuneri no. Dovevano essere tassati. E quell'ottone lucidato appena sbarcato che cos'era?
Quei «così» vennero tassati del 40 per cento rispetto al valore dichiarato. Ma quando un collezionista, Edward Steichen, ne acquistò uno alla Brummer Gallery, si rifiutò dì pagare la tassa. Il contenzioso finì in tribunale. Due anni dopo il giudice sentenziò: l'oggetto acquistato, L'uccello nello spazio, era scultura, non manfaftura.
Quel giorno il mondo dell'arte cambiò pelle. Undici anni prima, a scuotere l'accademia, c'era stato L'orinatoio di Duchamp. E lo stesso anno, 1928, nacque a Pittsburgh Andrew Warhola jr., detto Andy Warhol, che avrebbe assestato un'altra botta con la sua Pop Art. Ma questi strappi al vecchio “naturalismo” ebbero un'origine? Forse. Nella cera.
La casa editrice Quodlibet rispolvera il trattato più sottovalutato di un esperto prestigioso: Storia del ritratto in cera di Julius von Schlosser. Si tratta di una biografia parallela alla storia dell'arte “canonica e lineare”, inaugurata nel Cinquecento da Vasari. Von Schlosser è stato uno dei grandi rappresentanti della Scuola di Vienna. Fu allievo dì Franz Wickhoff, maestro di Ernst Gombrich, Hans Sedlmayr, Fritz SaxI, Ernst Kris, Otto Kurz, amico e seguace di Benedetto Croce. Gli esegeti di questo grande erudito «inattuale» (il suo secolo sarebbe stato il Settecento, disse Gombrich), sostengono che egli abbia tracciato una linea medita dell'evoluzione artistica, preannunciando i nostri contemporanei Bruce Nauman e Mario Cattelan (artisti che non a caso hanno prodotto opere in cera). La sua tesi è che l'arte contemporanea derivi dall'antica sapienza della lavorazione di “materiali viscosi e malleabilii”.
Maschere funerarie, ex voto, manichini: oggetti di cera, declassati, rimossi dai musei. Un errore, per Von Schlosser. Perché la cera rappresenta da sempre la materia non per imitare la realtà o riprodurla, ma per introdurre un doppio inquietante, altamente verosimile, che vive quasi di vita propria. Un'immagine antica, una provocazione simbolica, che (annuncia Von Schlosser già nei Trenta) presto scompaginerà l’arte.