Recensioni / Se l'autore si nasconde dietro le parole

Raccogliendo quelli che una volta si sarebbero chiamati i suoi "saggi" per Quodlibet, Gianni Celati ha seguito una sua abituale tendenza titolistica e ha optato per un pressoché poetico Conversazioni del vento volatore.

Aria, aria! pare invocare questo titolo. La "conversazione", il "vento" e anche l'essere "volatore" sono cose fatte d'aria, ovvero di una materia opposta alla solidità che di solito il saggista cerca di dare alle sue argomentazioni.

A proposito di «volatore», il termine non è un conio celatiano, ma un recupero da un italiano antico ma ancora nitidissimo («il volator destriero», in Ariosto, è l'ippogrifo). Un altro titolo con termine in accezione arcaica era Parlamenti buffi. Ma poi tutta l'opera di Celati si avvale di titoli che sono altrettante invenzioni: basterà pensare all'ultimo titolo, che era quello dei Sonetti del Badalucco nell'Italia odierna.

Spesso accade che le lettere (non i fonemi) che compongono il cognome Celati si ritrovino sparse nel titolo. Così in Cinema naturale, così nella Farsa dei tre clandestini, così (a dose doppia) nell'interminabile titolo di Recita dell'attore Vecchiatto al teatro di Rio Saliceto. Càpita lo stesso anche nelle Conversazioni del vento volatore, perché il vento volatore è anche un volto velatore e toni velati e titoli celati si addicono particolarmente alle conversazioni a cui l'autore ci invita.