Nei prossimi anni la storia dell’esplorazione artica diventerà un
argomento importante, alla luce del ruolo centrale che l’Artico sta
assumendo nell’immaginario e anche per i mass media. Personaggi di
grande levatura come il norvegese Fridtjof Nansen, il danese di origine
Inuit groenlandese Knud Rasmussen, saranno due dei nomi di riferimento
per comprendere il cammino dell’uomo in rapporto a un mondo incantato
che è al centro degli interessi economici odierni delle grandi potenze.
Il grande viaggio in slitta di Knud Rasmussen è quindi un
libro importante, pagine dove l’autore narra l’incredibile Quinta
Spedizione Thule, che dal 1921 al 1924 lo condusse a esplorare e
incontrare le popolazioni artiche dalla Groenlandia all’Alaska (la mappa
di quell’immensa impresa è riportata nel volume, e copre metà della
circonferenza terrestre), a raccogliere dati etnografici, fissare per
sempre riflessioni fondamentali sulle terre bianche, che già Nansen,
quando nel 1888 aveva incontrato gli Inuit della Groenlandia durante la
prima traversata di quella meravigliosa terra (Nel Cuore della Groenlandia, il suo racconto, esce a settembre per Galaad Edizioni in occasione dei 150 anni dalla nascita del grande norvegese).
Questi esploratori erano visionari e viaggiatori, conoscevano l’empatia
ma non smarrivano il senso critico: sapevano osservare e raccontavano
con precisione e rispetto. Rasmussen ci permette di comprendere una
visione della vita che in quegli anni stava decisamente per soccombere
di fronte alle sempre più frequenti avanzate verso nord dell’uomo
bianco, che con i suoi commerci e i suoi avamposti aveva posto le basi
per tutto quello di cui si parla oggi, quando leggiamo degli accordi
commerciali per lo sfruttamento delle rotte nel mare Artico, dei
giacimenti minerari, di terre meravigliose che per diecimila anni gli
Inuit hanno saputo amare e comprendere.
Il grande viaggio in slitta rimanda anche a un bellissimo film, The Journals of Knud Rasmussen diretto dal regista Inuit Zacharias Kunuk (premiato a Cannes nel 2011 per Atanarjuat),
dove si vede l’esploratore danese incontrare un gruppo di Inuit
sull’isola di Baffin, nella zona di Iglooliq, a un crocevia tragico
della propria vicenda - la forzata cristianizzazione che è andata
cancellando lo sciamanesimo e altre forme di legame con la terra,
riducendo quelle forme di spiritualità rispettose del senso di comunità e
di condivisione a folklore. Il suo incontro con lo sciamano Aua è
tratto da Il grande viaggio in slitta.
Senza sacrificare l’avventura, le riflessioni, l’amore che Rasmussen
esprime per le terre artiche e quei misteriosi abitanti, l’etnografo
danese trova un equilibrio espressivo che poco concede alle opinioni
personali e molto dedica alla divulgazione avvincente, facendoci
assorbire parte del proprio dna con passione: “L’autunno artico non ha
in sé alcun aspetto orribile. Si scivola fuori dal paese vivo
dell’estate e si vede la natura irrigidirsi nel freddo, senza che i
pensieri vengano condotti all’oscurità cui si va incontro. Perché
l’inverno non è un nemico, è il grande aiutante che costruisce ponti sui
mari, copre le pietre dei monti e spiana i crepacci. E non appena la
neve che permette l’uso della slitta rende possibili i lunghi viaggi,
compare la voglia di partire, nascono nuovi progetti e si aspetta solo
con impazienza che il freddo aumenti.”