Recensioni / La riscoperta della musica di Scelsi

«È il suono ciò che conta, più che la sua organizzazione, la quale avviene e cambia secondo le epoche, i popoli e le latitudini [...] In una determinata conoscenza occulta, dalle origini antichissime si riscontra l’idea che l’energia – la forza cosmica – sia addirittura un fenomeno acustico, cioè sonoro».
Sono le parole di una delle più straordinarie personalità che il nostro paese ha conosciuto (ma dovremmo dire “misconosciuto”) nel Novecento. Si tratta di Giacinto Scelsi (1905-1988) musicista, poeta e filosofo, le cui origini aristocratiche e il destino della sua opera ricordano quelli di un’altra figura lungamente appartata, e poi scoperta, come il filosofo Andrea Emo.
Se le più intelligenti istituzioni concertistiche hanno da un po’ preso in considerazione il vasto catalogo musicale del compositore (e un brano musicale è addirittura entrato nella colonna sonora di un film di Martin Scorsese, Shutter Island), finalmente la casa editrice Quodlibet ha deciso, in collaborazione con la Fondazione Isabella Scelsi, di dare inizio all’edizione organica degli scritti. Il primo volume pubblicato, a cura di Luciano Martinis e Alessandra Carlotta Pellegrini, si intitola Il sogno 101, e, oltre al lungo racconto autobiografico che dà il titolo all’opera, contiene un poema visionario, Il ritorno, che l’autore stesso definì «l’autobiografia della sua prossima incarnazione ». Se le su citate parole sul «suono come forza cosmica» si trovano nelle cinque pagine di apertura, che Quirino Principe nel saggio introduttivo, Venuto dal futuro, definisce «sublimi», nonché di contenuto «più rivoluzionario di qualsiasi avanguardia musicale del secolo XX poiché rinnega almeno duemila anni di musica occidentale », a esse fanno seguito le parole, a volte ironiche, a volte ammirate, ma sempre affettuose, degli incontri con le personalità artistiche conosciute via via nel tempo: da Ottorino Respighi e Alfredo Casella a John Cage, da Jean Cocteau e Pierre– Jean Jouve a Henri Michaux… Ma nessuno spazio è concesso al disinganno postmoderno: «Il compito del musicista è di trasmettere la musica dagli dèi alla Terra e poi di rivolgerla nuovamente alla deità e al divino […] Oggi l’uomo costruisce le musiche sempre più col suo piccolo cervello, non le riceve più dall’alto né dal cielo né da qualsiasi Deva o deità.
Non le riceve e neanche più le chiede, non le ricerca in quella zona, a quel livello».