Recensioni / La metafisica concreta di Pavel

Man mano che l’editoria italiana pubblica i suoi testi, Pavel Florenskij aggiunge sorpresa a sorpresa. Il «Pascal russo» o il «Leonardo da Vinci della Russia», come lo chiamavano gli intellettuali d’inizio Novecento, si impone come figura-crocevia del pensiero filosofico e teologico. Per le scienze – era un matematico studioso del principio di discontinuità – ricevette subito riconoscimenti e il governo rivoluzionario lo chiamò all’Amministrazione centrale per l’elettrificazione della Russia, attività che svolse brevettando numerose invenzioni. Nel 1933, accusato di organizzazione controrivoluzionaria, finì in Siberia e poi nel lager delle Solovki dove, nonostante i lavori forzati, compì importanti scoperte per la biologia e la chimica organica. Ma, per il regime, era personalità inaccettabile. Così l’8 dicembre 1937, dopo cinque giorni di viaggio per rientrare a Leningrado, fu fucilato. La straordinaria avventura umana è ben ricostruita nella prima e approfondita biografia Pavel Florenskij di Avril Pyman (edizioni Lindau, pagg. 512, € 38,00), studiosa di letteratura russa e membro della British Academy.
In Italia, a proporre Florenskij fu Elémire Zolla che curò nel 1974 per Rusconi La colonna e il fondamento della verità e tre anni dopo per Adelphi Le porte regali. Saggio sull’icona. Ora è Natalino Valentini – direttore dell’istituto di Scienze religiose «A. Marvelli» di Rimini – a proseguire con sistematicità la conoscenza della vasta opera del grande russo. Per Quodlibet è appena uscito in prima traduzione italiana Stupore e dialettica, un manoscritto del 1918 dedicato al rapporto tra scienza e filosofia e al loro modo di misurarsi con la vita nella sua espressione più concreta, quella dell’esperienza, e nella dimensione del mistero perché la realtà sfugge sempre, rimanda ad altro e a un altrove. Florenskij introduce il concetto di «metafisica concreta» per «condurre il pensiero alle soglie della conoscenza integrale, delle verità ultime della vita e della morte, ponendosi sull’orlo dell’invisibile mistero», come scrive Valentini nel l’accurata introduzione.
I concetti chiave di questo coinvolgente scritto (scoperto nel 1987 e pubblicato su una rivista di Budapest) ruotano attorno al processo conoscitivo che ha nello stupore la sua anima sorgiva. Sarà poi lo sguardo dell’attenzione, che è contemplazione e ammirazione, a disvelare i segreti della realtà racchiusi in embrioni invisibili e inespressi. Il mistero – scrive Florenskij – non tace mai, al contrario «dà testimonianza di sé con il proprio nome». All’uomo il compito di coglierlo ricorrendo a tutte le facoltà che possiede. In primo luogo con l’esercizio della dialettica che è «relazione viva con la realtà. È un esperimento ininterrotto sulla realtà per giungere nell’intimo dei suoi strati più profondi». In questo lavoro, corpo a corpo con l’esistenza, la filosofia si rivela più attrezzata della scienza perché non si accontenta del primo esperimento in grado di esprimere uno schema razionale. Diceva Novalis: «Ogni metodo è ritmo», ovvero intreccio di domande e risposte che a loro volta generano altre domande, ognuna delle quali contrassegna le vie della ricerca sul cammino della verità. Strumenti decisivi di lettura e d’interpretazione diventano il linguaggio e la parola perché possono entrare nell’universo dei simboli che custodiscono i segreti e le forme della natura, “nocciolo” e “guscio” della vita. Florenskij con il suo pensiero spariglia le carte di un dibattito contemporaneo stanco e asfittico e dice: rimettetevi in discussione.