Recensioni / Il fascino discreto dell'imitazione che supera la realtà

Può sembrare una scelta un po' maliziosa quella di mettere in copertina un autoritratto di Cattelan in cera (Senza titolo, 2001) per la ristampa, a 100 anni dalla sua prima uscita, di Storia del ritratto in cera di Julius von SchIosser (Quodlibet, pp. 224). In questo piccolo saggio del 1911 non troveremo evidentemente riferimento a Cattelan o a qualunque altro artista contemporaneo, eppure sul tema ci sarebbe molto da dire. Proveremo a fare qualche esempio. Von Schlosser, nel trattare un argomento circoscritto, ci apre domande molto attuali. L'autore fu esponente della cosiddetta «scuola di Vienna», maestro tra gli altri di Ernst Gombrich e amico e seguace di Benedetto Croce. Ciò che interessa il critico non è tanto quello di colmare un vuoto della "storia dell'arte", il cui compito da sempre è decidere cosa sia arte e cosa no, quanto quello di studiare dei fenomeni culturali, e in particolare, i corsi e ricorsi della storia. Come fa notare Didi-Huberman, nel saggio del 1998 che apre Storia del ritratto in cera, von SchIosser mutua un'espressione dell'etnologo Tylor, riconoscendo nel ritratto in cera un esempio dei "survival", cioè «il "sospeso" (superstitio) di vecchie consuetudini nel cuore di uno stato di cose nuovo e modificato». Un concetto non dissimile alle "sopravvivenze" di Aby Warburg, contemporaneo di von Schlosser. L'autore si sofferma in particolare su 4 principali funzioni della ceroplastica: funeraria, votiva, artistica e "anti-estetica". Quest'ultima segna l'estromissione della ceroplastica dal novero delle arti, dopo la caduta dell'Ancien Régime, quando la storia dell'arte prese la strada dell'idealismo, teorizzando la supremazia dell'idea sulla tecnica, e quindi delle "belle arti" in opposizione all'artigianato.

 

Von Schlosser rintraccia la fortuna - e sfortuna - della ceroplastica proprio nella sua caratteristica di «realismo eccessivo», nella sua capacità di rassomigliare troppo al vero. E quello che Freud, un altro contemporaneo di Schlosser, definirà «perturbante». Proprio per queste qualità, alla cera fu dato il compito di rendere eternamente vivi i morti, fissandoli in realistiche riproduzioni, con tanto di capelli ed abiti veri. O di sacrificarsi a posto dei vivi attraverso la pratica degli ex-voto, usati come ringraziamento alla divinità dopo una guarigione. Le opere di cera arriveranno ad assumere un valore autonomo per le loro qualità estetiche, e a venir mostrate ad un pubblico.

Ma com'è noto, dal Rinascimento in poi l'artista cerca di slegarsi dal ruolo di subordine a cui la storia lo aveva relegato. Inizia il lungo processo che ha portato all'ipertrofia della figura dell'artista che caratterizza i nostri giorni. Secondo von Schlosser, però, fino a quella cesura definitiva che identifica con la Rivoluzione francese e con l'estetica tedesca della prima metà dell'Ottocento, l'essenza dell'arte consisteva ancora «senza tanti patemi d'animo, nell'imitazione» e la ceroplastica poteva continuare a proliferare. Con la teoria classicista la situazione si capovolge, è l'arte ora a dominare la natura. L'analisi di von Schlosser arriva quasi a toni drammatici: «Si fecero strada il funesto dualismo di forma e contenuto (...); riapparve per l'ennesima volta l'antico falso problema platonico del dualismo spirito-materia, sostanza-accidente». Von Schlosser ricorda che nel frattempo prende piede anche un'altra teoria, quella romantica del "genio". Insomma le teorie dell'arte cominciano ad assumere toni sempre più contraddittori. In tutto questo il concetto di somiglianza viene considerata una tecnica accessibile a chiunque e per questo «relegata nell'anticamera dell'arte.» Con buona pace della ceroplastica che comincia una nuova fortuna negli strati della cultura "popolare". Paradossalmente, Madame Tussaud, la fondatrice del museo delle cere di Londra, ormai con sedi in tutto il mondo, ha iniziato con un ritratto di Voltaire e creando calchi di cera tra i cadaveri delle vittime della Rivoluzione francese.

Von Schlosser sottolinea come la storia della ceroplastica trovi esito negli "automi". «Anche in questo caso si tratta, alla fin fine, di un'emanazione di quella primitiva visione demonica dell'opera d'arte che si esprime nell'intramontabile concetto popolare secondo cui il cui più grande merito dell'opera risiede nella sua vitalità». Ed ecco, aggiungiamo noi, che si arriva all'arte contemporanea e all'ennesimo "ricorso" della storia: basti pensare ad artisti come Duane Hanson o Roan Mueck, il primo celebre per le sculture, in vetroresina, iperrealistiche, nate da calchi - come nelle maschere funerarie di cui parla diffusamente Von Schlosser - il secondo per opere in cui gioca con il mostruoso alterando la scala dell'anatomia umana.

Oggi la distinzione tra arte "alta" e arte "bassa" ha assunto contorni sempre più labili, e anzi molto artisti contemporanei sembrano avere una certa predilizione per le manifestazioni che tradizionalmente apparterrebbero alla seconda. Come eredi del ruolo che aveva ricoperto il ritratto in cera si possono annoverare superstar come Damien Hirst o Maurizio Cattelan. Hirst con la sua attenzione alla morte e all'anatomia umana, uno dei settori in cui la cera ha raggiunto i massimi risultati tecnici - andate a vedere il museo del Bargello a Firenze e le sue sculture in formalina con tanto di uso di materiali non solo naturali ma a volte vivi. Per Cattelan, si possono citare i tre bambini fantoccio impiccati ad un albero, che scandalizzarono mezza Milano tanto da spingere un cittadino a salire su una scala per cercare di staccarli - facendosi pure male. O ancora opere come la Nona Ora, con papa Woityla colpito da un meteorite o Him, un Hitler inginocchiato che prega. Tra l'altro, una riproduzione in cera di Hitler fu decapitata nel 2008 proprio nella sede berlinese di Madame Tussaud.

Proprio quest'anno una delle opere più impressionanti della Biennale d'arte di Venezia, curata da Bice Curiger, è stata la riproduzione del Ratto delle Sabine del Gianbologna fatta da Urs Fischer, che ha trasformato la scultura in una grande candela che brucia, affiancandola ad un altro ritratto-candela. Un omaggio all'irraggiungibile arte antica con le consapevolezza dell'artista contemporaneo, che, come direbbe Lyotard, non dispone più di "grandi narrazioni".

Pietro Conte fa notare, nella postfazione al saggio di von Schiosser, che la parola ritratto deriva dal latino "trahere", tirare, far uscire, trarre da. Il ritratto «ha la capacità di far vedere l'invisibile, evocando in presenza un originale assente e trasformando in "qui e ora" ciò che è "in altro luogo e in altro tempo"». Un aspetto che richiama la magia e che spiega gli atti vandalici perpetrati contro quadri e sculture di cui si è parlato anche sopra.

Il rapporto tra realtà e riproduzione, l'attrazione tra vero e illusione, è uno dei nodi cruciali e sempre attuali su cui si interroga chi si occupa di teoria dell'arte e che ha aperto il campo ai cosiddetti "visual studies", che hanno allargato l'orizzonte della ricerca all'immagine in sé. Con incredibile profeticità von Schlosser arriva a mettere in parallelo l'arte della ceroplastica con quella della fotografia, che negli anni in cui scriveva doveva ancora affermare la sua "valenza artistica". Di questi giorni potremmo citare il cinema e ancor più la tecnica 3d.

Infine, l'autore mette in crisi il concetto stesso di arte, sollevando l'annosa questione di come si possa decidere se un manufatto sia arte o meno. Von Schlosser pone l'accento sull'"insularità" dell'opera, cioè sul dovere del critico di analizzare ogni opera come elemento singolo, avulso dal resto. Ma ovviamente, anche questa risposta apre a delle forzature che è questo stesso saggio a confutare. A Storia del ritratto in cera, insomma, manca solo un "sequel" calato nella nostra contemporaneità.