Recensioni / Il giardiniere salta fuori dal Novecento

Venti anni separano la pubblicazione italiana de Il giardino in movimento dalla prima edizione francese del 1991. Venti anni di attenzioni crescenti nei confronti di un autore e di una ricerca che nel tempo si è aperta ad un pubblico sempre più vasto e si è rivolta a competenze sempre più diversificate: prima i giardinieri, i botanici, gli entomologi, gli agronomi, poi gli architetti, gli urbanisti e ormai chiunque operi sotto la giurisdizione di valori che intrecciano ecologie, economie, scienze, arti e filosofie della natura. Questa prima traduzione italiana, dell’ultima francese del 2007, dà conto dell’apertura progressiva del discorso, raccogliendo gli aggiornamenti che negli anni si sono susseguiti, le esperienze, le inclinazioni più recenti del ragionamento, il farsi planetario di un giardino che venti anni fa appariva più contenuto e praticabile (Le jardin planétaire, 1999), l’approccio sempre più programmatico fino a divenire manifesto (Manifesto del Terzo paesaggio, 2004).
 
Prima di tutto questo, venti anni fa, Il giardino in movimento. Un viatico atipico per un giardiniere sperimentale, redatto da un autore certamente singolare: Gilles Clément agronomo, entomologo e botanico, giardiniere e paesaggista, entro una combinazione di competenze che nel giardino inscenano una più giusta gestione dello spazio, ancor prima che del mondo. Seguendo il movimento naturale della vegetazione e il vagabondare dei semi col loro potenziale. Inserendosi nella loro corrente e nel loro disordine apparente. Attraverso una gestione dei luoghi poco conflittuale, seppur vigile e controllata. Sempre sorprendente. Riscrivendo così, nel movimento stesso, una dimensione estetica nuova e originale. Capace di reinventare forme del giardino e tecniche di giardinaggio, ancor prima di farsi metafora di un pianeta e del suo funzionamento ideale.
 
Il giardino in movimento, nei residui della sua prima versione, o tra le pieghe della stesura aggiornata, è principalmente questo. Ed è questo che rimane il centro più resistente di una riflessione e il deposito più ricco di indicazioni per quel viatico che Clément inizia nel 1977 a La Vallée, entro il proprio giardino privato, e prosegue poi attraverso studi, esposizioni e giardini che si aprono al grande pubblico. Dal Parc Citroën di Parigi del 1993 fino ad esperienze sempre più frequenti accanto al lavoro di architetti internazionali, e nel confronto con i nuovi paesaggisti-giardinieri che con Clément inaugurano una stagione del progetto senz’altro inedita.
 
Piet Oudolf, Henk Gerritsen, Petra Petz, Tom Stuart-Smith, Dan Pearson, non sono che alcuni dei protagonisti di questa nuova scena. Eppure raramente Gilles Clément ne è considerato parte. Pena la riduzione di un apparato teorico libero e aperto a sapere esecutivo e tecnico. E come tale poco incline a parlare ai molti interlocutori che si vuole coinvolti. Non era così nell’intuizione originaria. Ove il movimento era proprio di luoghi specifici, prodotto di semi specifici, coltivati da saperi esperti capaci di veicolarli entro nuove configurazioni. Poi tutto cambia: la metafora del giardino/recinto/mondo sulla quale tanta letteratura di paesaggio insiste (si consideri il contributo di Alain Roger in appendice al volume) prevale. Fino a dissolversi entro un discorso che paradossalmente non lascia più nulla all’implicito. Il giardino si fa planetario e ci si rivolge al mondo in modo diretto. Lo si esorta e ammonisce in osservanza dei valori che guidano il progetto e lo governano, ove una volta erano i semi a modellarlo.
  Lo spostamento non è da poco. Riflette quel mutamento della forma del discorso, del progetto e dei processi decisionali che il cambiar di secolo ha reso più evidente. Il giardino in movimento, nella sua evoluzione, è documento esemplare di questo passaggio: tutto si radica nel Novecento e tutto si apre e dissolve nel secolo successivo. Del Novecento è l’enfasi per il movimento stesso, la passione per dinamismi e configurazioni instabili che segna gran parte dell’estetica del secolo scorso. In relazione al giardino più audace sarebbe stato immaginarlo immobile (come spesso peraltro è stato). Muoversi è tuttavia per Clément anche vagabondare in cerca di occasioni. E’ letteratura di viaggio. Racconto nella sua forma più tradizionale. Quella del romanzo, che difatti accompagna, nella produzione dell’autore, la più recente stesura di programmi e manifesti. Del Novecento è poi l’entusiasmo partecipativo, la convinzione di esser parte di un sistema (una città, un giardino, una comunità animale/vegetale) e di prender parte ai suoi processi. Dall’interno. «Contrastando il meno possible e assecondando il più possible», secondo un principio che ha governato il discorso sulla città di fine secolo. Ma che non incide più. Perchè è cambiato lo sfondo. Si è dilatato. Si è fatto ambiente, ecosistema, pianeta. Che peso hanno allora, e che ruolo ancora rivestono oggi, i semi di Clément? Seguirli attraverso la nuova traduzione italiana è, tra i molti altri movimenti, un salto rapido e deciso fuori dal Novecento.

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