Recensioni / Il Faust "attempato" del poeta Fortini

Franco Fortini, oltre che poeta e saggista, è stato un importante traduttore. E da lingue diverse. Non è mancata in lui neppure la capacità di ragionare sullo stesso tradurre e parte di quelle sue riflessioni sono state ora raccolte in volume (Lezioni sulla traduzione, a cura e con saggio introduttivo di Maria Vittoria Tirinato, p. 231, Quodlibet 2011, € 16,00). Risalenti a fine novembre 1989, le quattro lezioni presenti in questo libro raccontano di importanti interlocutori come Ortega y Gasset, Benjamin, Contini, Mengaldo e di temi quali l’autenticità, il rapporto con la tradizione, la dialettica tra prosa e poesia. Una raccolta ben curata e soprattutto una buona occasione per ripensare ad una delle traduzioni più importanti di Fortini, il Faust di J. W. Goethe, che lo impegnò dal 1964 al 1970. Un prezioso lavoro di cesello, quello realizzato con la consulenza di Cesare Cases, e tuttavia piuttosto discusso e discutibile, tanto che nel 1996 Roberto Fertonani si sentì in dovere di difendere pubblicamente la versione fortiniana del testo goethiano, definendola “l’unica traduzione decente in italiano, l’unica”. Addirittura Fortini, a detta di Fertonani, sarebbe stato “il solo capace di rendere il Faust in un modo leggibile al lettore che non sa il tedesco”. Un bel complimento per un poeta che ha candidamente ammesso di possedere il tedesco “molto mediocremente”, che è stato aiutato da Ruth Leiser, madrelingua, e dal citato Cases. Tanto più che le altre versioni, di traduttori “veri”, per quanto, come tutte, discutibili, non sono proprio da buttare: ricordo quelle di G. Vittorio Amoretti, di Giorgio Manacorda e di Andrea Casalegno.
Visto che Mondadori continua a proporre il Faust di Fortini (per convinzione, per risparmio, per reverenza?), vorrei provare a rimarcare alcune delle incongruenze presenti in quella traduzione. So bene che il poeta fiorentino non amava l’inserimento del testo a fronte e che non sopportava la caccia agli errori da parte dei critici della traduzione poetica. Non me ne vogliano i suoi fedeli epigoni, ma dalla verifica nella prassi spesso si capisce molto meglio la teoria.     
Ecco dunque alcune osservazioni sul suo Faust I. Siamo nei primi versi e Fortini traduce con “gente” il Geist des Volks, cioè lo “spirito del popolo”: una scelta non casuale, poiché quest’ultimo evocava nella stessa Germania post bellica (o meglio nella DDR e nella BRD) la manipolazione praticata dal nazismo sul termine “popolo”. Con lo stesso Geist Fortini deve aver combattuto più di un corpo a corpo: talvolta lo rende come “spirito”, altre volte come “essenza”, altre ancora addirittura come “mente”. Insomma una bella opportunità di esercizio della libertà poetica.
Altro termine da evitare negli anni Sessanta, in Italia come nelle due Germanie, era “patria”, così Heimat diventa nel Faust fortiniano un quasi ridicolo “nido”. C’è poi la scelta dell’iniziale maiuscola, voluta solo per alcune parole, senza alcuna corrispondenza con il testo di Goethe: “Natura”, “Nulla” e  “Tutto”.
Per Herz (letteralmente “cuore”), ricorrente con una certa frequenza, Fortini sceglie varie soluzioni: “mente”, “anima”, “sentimento”. E la confusione aumenta se si pensa che il poeta-traduttore usa il termine “anima” anche per rendere Busen (in realtà “seno”), o che “cuore” viene impiegato per tradurre, in relazione al contesto, oltre che Herz anche Brust (letteralmente “petto”) o Gefühl (letteralmente “sentimento”, ma in altri passaggi Fortini lo interpreta come “senso” o “percezione”, “sentire”). Laddove Goethe poi usa l’immagine mein Innerstes (“ciò che ho di più intimo”), importante anche perché successivamente centrale nella poetica di R. M. Rilke, Fortini sceglie, in qualche modo sviando, “anima”.
“Demone” e “demonio” non sono la stessa cosa, eppure in almeno tre passaggi il termine Teufel (“diavolo”) viene inteso da Fortini come “demone”, e così facendo ne altera radicalmente il significato.
Nel leggere gli ultimi versi fortiniani del Faust I ci si imbatte infine nel termine “Illuminismo” e ci si chiede se davvero Goethe abbia usato il corrispettivo tedesco, Aufklärung, dunque con l’intento dichiarato di riferirsi a quel complesso movimento culturale. Ovviamente no. È il proctofantasmista che parla e rivolgendosi ad alcuni spettri dice: Wir haben ja aufgeklärt!, letteralmente “Abbiamo già fatto chiarezza!”. E Fortini che fa? Traduce “C’è stato o no l’Illuminismo?” 
Curioso come in Lezioni sulla traduzione lo stesso fiorentino ammetta: “oggi non imprenderei la versione di Faust, come vent’anni fa”. “Una volta”, aggiunge, “avevo anche calcolato in un ventennio la durata media di una versione di Goethe”. L’appello a Mondadori arriva dunque dallo stesso Fortini: a quando una nuova traduzione della grande opera di Goethe?