«Il debito del vivente. Ascesi e capitalismo», un saggio di Elettra Stimilli per Quodlibet L'indebitamento e il consumo sono le basi di una società che ha come chiesa suprema la finanza
Due sono i propositi da cui muove la recente indagine filosofica di
Elettra Stimilli, Il debito del vivente. Ascesi e capitalismo
(Quodlibet, pp. 304, euro 18. Il volume sarà presentato lunedì 31
ottobre nel Salone dell'editoria socialein corso a Roma). Da un lato, la
spinta ad attualizzare un'intuizione di Max Weber, che è alla base
della nota teoria sullo «spirito del capitalismo»: l'idea, cioè, che le
origini di quel modo di produzione siano da rintracciare nell'«ascetismo
intramondano», ossia in un'etica della rinuncia mossa dalla fiducia in
una ricompensa futura, differita rispetto alla possibilità di un
arricchimento immediato. Dall'altro, la tensione a dimostrare in che
modo il capitalismo odierno innesti i suoi meccanismi di dominio su una
facoltà umana del tutto preliminare a qualsiasi scelta ascetica: il
fatto, già messo in evidenza da Aristotele, che l'uomo possa agire
secondo una prassi che non contiene in sé una finalità e che dunque si
pone come autoreferenziale rispetto ai possibili scopi. In tal senso, la
possibilità che l'agire umano ha di contenere in sé la sua stessa
finalità, senza che essa venga collocata in un elemento esteriore, sta
alla base della pratica ascetica, ne rappresenta il fondamento.
L'ipotesi della Stimilli è duplice. Nel modo di produzione vigente
l'ascetismo intramondano di weberiana memoria è presto convertito in un
modello consumistico fondato sulla spinta egoistica e individualizzante
al godimento senza limiti, che elide la necessità di un differimento e
gioca la sua partita sull'immediatezza. Ma, si aggiunge, questo processo
di asservimento non riposa tanto sulla capacità di produzione, quanto
sulla possibilità di agire su una proprietà intrinseca dell'umano, ossia
su quella prassi che presiede l'attività produttiva.
La natura potenziale dell'azione, svincolata dallo scopo e dal suo
sbocco attuativo, sarebbe pertanto il vero oggetto delle pratiche
amministrative del capitalismo contemporaneo, la cui forza consiste nel
saldare l'agire in sé dell'uomo, la «produttività senza scopo», con la
somministrazione illimitata di occasioni di consumo capaci di obbedire a
pratiche di soggettivazione e di regolazione dell'esistenza. Ne deriva
che «oggi - nell'epoca in cui l'indebitamento è divenuto planetario,
come forma estrema di coazione al godimento - la condizione che
caratterizza la natura potenziale dell'azione emerga con inaspettata
nettezza proprio come un "essere in debito"». «Il debito - continua
l'autrice -, nelle sue varie forme, è infatti divenuto il presupposto
delle attuali modalità di assoggettamento e, come tale, deve essere
riprodotto, piuttosto che saldato». Pertanto, una filosofia in grado di
restituire criticamente un'analisi delle attuali modalità di
sfruttamento messe in opera dal capitale, dovrà tener conto, nell'alveo
di un discorso sulla biopolitica, di come le modalità di assoggettamento
si applichino «alla stessa capacità del vivente umano di dar forma e
valore alla sua vita», al di là delle finalità che rientrano nella
coscienza di ogni possibile progettualità. È proprio questa referenza in
sé del fine dell'attività umana a richiamare alla mente la diagnosi di
Weber, per il quale la spinta capitalistica sarebbe caratterizzata da
«un'autofinalità implicita nella ricerca del profitto». Ma ciò che si
presenta come un'omologia che salderebbe l'attività autotelica dell'uomo
a quella del capitale mostra, in vero, la presenza di una volontà
globale di assoggettamento che colloca la tensione dell'agire entro
l'infernale macchina distruttiva dell'odierno capitalismo, la cui spinta
all'illimitatezza dell'accumulazione si fonda sulla capacità di
istruire individui alla religione dell'illimitato, posto in essere dalla
soppressione di qualsiasi vincolo, legge, misura. Il che potrebbe
richiamare alla mente un ulteriore problema, a cui la Stimilli accenna:
l'incapacità dell'uomo di rapportarsi genuinamente al proprio agire
senza finalità, senza che pratiche di dominio intervengano o influenzino
tale relazione.
L'efficacia del disciplinamento dell'azione in sé inaugurato dal
capitale, avverte la Stimilli, si misura oggi sul forte investimento
dell'attuale economia sul cosiddetto «capitale umano», in virtù del
quale la produzione di merci fa il paio con la produzione del sé, con la
necessità, cioè, di mettere a frutto, capitalizzandola, la propria
individualità, secondo le dinamiche di una vera e propria strategia
autoimprenditoriale. Mettere a profitto se stessi significa allora
obbedire al diktat, in sé illogico, di omologarsi al meccanismo di
accumulazione fine a se stessa, proprio del capitale: significa mutarsi
in capitale, essere il capitale. L'asceta contemporaneo è il
professionista della finanza, che dona il suo vivere alle leggi
dell'accumulo, alle leggi, avverte la Stimilli, «di un potere con un
fine in sé, separato dall'uomo, ma intrinseco alla sua stessa prassi».
Nell'orizzonte di una coazione al godimento fine a se stesso,
l'individuo contemporaneo orienta la sua azione non verso un
soddisfacimento consuntivo e futuro, ma verso un consumo
autoreferenziale e immediato, senza regolazione e improduttivo, che
permette di adeguarsi funzionalmente ai caratteri di flessibilità e
debolezza che il potere favorisce per estendere il suo dominio. In tal
senso, l'involontarietà dell'azione viene disciplinata nell'apparenza di
una libertà senza limiti, il cui risultato esistenziale concerne un
sentimento dell'essere in debito, di una mancanza che, costantemente
riprodotta dal potere, viene solo temporaneamente colmata, per poi
ripresentarsi in nuove forme.