Recensioni / Sulle strade di Marco Polo

Una nuova edizione dei Commentari della Cina di Matteo Ricci (1552-1610), dopo quella di D'Elia (1942-1949) e l'altra di Tacchi Venturi (1911-13), arriva in questi giorni in libreria, la pubblica Quodlibet (pagg.775, lire 98.000) a cura di Maddalena Del Gatto sotto la direzione di Piero Corradini. Ne parlo con Filippo Mignini, storico della filosofia, esperto di Spinoza, che ha prefato l'opera di Ricci. Allora Mignini perché questa nuova edizione? «Di questi Commentari - il titolo esatto è Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina - esistevano edizioni oggi introvabili. Abbiamo pensato che fosse giusto offrire l'opportunità di rimeditare alle fonti temi e problemi del dialogo fra l'Occidente e la Cina». Quale immagine viene fuori dai resoconti di Ricci? «Un paese totalmente autosufficiente di risorse naturali e artificiali, vero paradiso in terra; un popolo dedito alle lettere e alle scienze e poco amante della guerra; convinto di essere la più antica e grande civiltà del mondo che, prima dell'arrivo di Ricci, i cinesi facevano quasi coincidere con il loro impero; fortemente diffidente nei confronti degli stranieri. Ricci riuscirà a vincere la secolare chiusura e a introdurre una certa consapevolezza della civiltà europea». Che relazione si può stabilire con l'altro grande viaggiatore, cioè Marco Polo? «Marco Polo giunge in Cina come mercante nel 1275, in un momento di relativa apertura della Cina verso l'Occidente, vi resta 17 anni imparando la lingua del paese, svolgendo servizi e attività diplomatiche per conto dell'imperatore, senza farsi cinese e facendo conoscere con il suo fantastico racconto la Cina all'Occidente». E Ricci? «Ricci vi entra come missionario cattolico della Compagnia di Gesù tre secoli dopo, in un momento di totale chiusura verso gli stranieri, sapendo che non potrà più uscirne una volta accoltovi. Resta in Cina quasi trent'anni, dopo essersi fatto in tutto cinese; parla e scrive in cinese, traduce dal cinese in latino e in altre lingue europee; traduce in cinese teologia, filosofia morale, geometria e scienze occidentali, non escluso un trattato di mnemotecnica». Ma chi fra i due è stato più influente? «Il contributo di Ricci alla reciproca conoscenza dei due mondi, in particolare dell'Europa dalla parte della Cina, è incomparabilmente maggiore e più fecondo. Si pensi che fino a oggi gli studenti cinesi hanno imparato la geometria di Euclide sulla traduzione che ne fece Ricci, il loro Li Madou. Si può ancora ricordare che fu Ricci a stabilire con certezza e a informare l'Europa, all'inizio incredula, che il Catai di Marco Polo coincideva con la Cina e non era un altro paese diverso da essa, come normalmente si pensava». Eppure Marco Polo conosce un'immensa fortuna, l'altro per lungo tempo cade nell'oblio. Perché? «Perché il primo ha la fortuna di trasmettere la memoria del suo viaggio in un libro affascinante e di facile lettura come il Milione. Il manoscritto ricciano della Storia invece, dopo essere stato tradotto in latino da Trigault nei mesi successivi alla morte dell'autore, scompare dalla circolazione, per riapparire solo agli inizi del Novecento. Certamente non fu causa irrilevante per la scarsa fortuna di Ricci la condanna che sul finire del Seicento Roma pronunciò ufficialmente del suo metodo missionario». Perché la Chiesa condanna i suoi scritti? «L'accusa principale fu quella di aver concesso ai confuciani convertiti di continuare a praticare i loro riti, in particolare il culto degli antenati. Ricci fu anche accusato di aver tradotto male il termine Dio, rendendolo con il cinese "Cielo" e "Signore del Cielo", infine di aver sottovalutato le divergenze fra morale confuciana e morale cristiana».