Recensioni / La "logica" di Max Scheler

Nel 1906 Max Scheler si stacca bruscamente dal suo giovanile neokantismo, ritirando dalle stampe il primo dei due volumi che avrebbero dovuto comporre l’ambiziosa opera sulla logica alla quale aveva iniziato a lavorare nel 1904. Tale scritto presenta l’autore nella veste inedita e sorprendente dell’idealista logico, a fronte di una fama legata per lo più alla fenomenologia di orientamento realistico.

Segnando l’apice del neokantismo professato agli esordi da Scheler e precedendone insieme l’abbandono, la Logica non solo offre un punto di vista privilegiato per vedere sotto nuova luce la tormentata vicenda intellettuale del filosofo, ma possiede ulteriori e cospicui motivi di interesse: vi si ritrovano, infatti, una critica approfondita della teoria empiriocriticistica della conoscenza, un confronto serrato con lo Husserl autore delle Ricerche logiche, nonché la discussione delle posizioni assunte da alcuni tra i principali protagonisti del dibattito logico interno all’Ottocento filosofico tedesco: da Herbart e Drobisch a Lotze e Sigwart. Ed è proprio sullo sfondo di tale dibattito – che ha per oggetto la fondazione, la finalità e le possibilità di sviluppo della logica, nonché i rapporti di tale disciplina con le scienze da un lato e l’indagine filosofica sul loro metodo e statuto dall’altro – che occorre proiettare la Logica «trascendentale e oggettiva» predisposta da Scheler in queste pagine (nonché l’inattuale giudizio sulla logica matematica che essa prevede). Una logica non concepita come disciplina formale, ma come «teoria della scienza», che intende rimarcare la sua peculiare novità rispetto alla logica tradizionale nella trattazione delle questioni metafisiche ed epistemologiche sollevate dall’interrogazione sulla possibilità della conoscenza scientifica.