Nel 1921 Knud ha quarantadue anni e sta per partire per un lungo viaggio nelle
terre del Nord. Vuole andare a conoscere tutti i popoli eschimesi, di cui parla
la lingua e conosce la storia. Nessun uomo bianco lo ha mai fatto prima.
Per lui si tratta di un vecchio e segreto desiderio protetto dal ricordo di una
leggenda di questi popoli. La leggenda racconta di piccoli uomini che volevano
girare il mondo e spiega che bisogna essere fedeli agli ideali della propria giovinezza.
Non potevo immaginarlo. Non potevo sapere che il racconto di una spedizione scientifica
nei ghiacci artici conclusasi quasi novant’anni fa potesse risvegliarmi a un pensiero
che conservo da sempre, la speranza di raggiungere nell’età della maturità un
obiettivo abbozzato durante le mie esistenziali tormente dell’adolescenza.
Il grande viaggio in slitta è dedicato alla gioventù danese. È così solo perché Knud Rasmussen, come la
maggior parte dei danesi, è una persona estremamente modesta. Potrebbe essere
dedicato semplicemente alla gioventù, tutta, perché i suoi sono messaggi utili
a chi sta decidendo di crescere o a chi si è dato ancora tempo per farlo.
Il libro racconta del mistero dell’inverno che per i popoli del nord non è un
nemico, ma il grande aiutante che costruisce ponti sui mari, copre le pietre dei
monti e spiana i crepacci.
Incanta con le parole dei canti e le descrizioni dei balli di questa gente e
affascina con le trame delle loro tradizioni, di come nacquero tuono, fulmine
e tempesta, di come tutti insieme si gioca a saltare sulle pelli di tricheco nei
giorni della festa della balena.
Inchioda al dovere di ascoltare e capire con mente aperta chi ci sta di fronte,
anche se fa cose e dice pensieri diversi e lontani, quando si sofferma a celebrare
la grande fanfara della gioia suonata dal popolo del bue muschiato, considerato dalla maggior parte della
gente un popolo malfamato, fatto di delinquenti e di assassini.
Fa sorridere quando Knud viene costretto a farsi tagliare i capelli in cambio
di una collezione di preziosi amuleti, perché un amuleto è sempre un amuleto,
come spiega un vecchio sciamano, e il risultato è un’acconciatura che pochi barbieri
di Copenhagen definirebbero tale.
Culla quando si raccoglie su una riflessione sulla saggezza sciocca dei viaggiatori
che non soffrono mai di nostalgia, finché sanno che enormi distanze li separano
dal mondo, ma nell’istante stesso in cui diventa possibile avere notizie di casa
è come se per loro tutti i sentimenti, che sono stati repressi con violenza fino
a quel momento, si svegliassero con tutta la forza accumulata durante una lunga
assenza.
In uno dei passaggi più belli spiega, con le parole del cacciatore Aua, che ci
sono dei limiti ai perché che ci possiamo permettere. Dice l’uomo a Knud, che
continua chiedere spiegazioni sui riti eschimesi: ecco vedi, nemmeno tu sai dare spiegazioni quando ti chiediamo perché la vita
è come è. E così deve essere.
Il libro parla di umiltà, tenacia, curiosità, rispetto, ma soprattutto dell’importanza
di vivere e vivendo accumulare ricordi per piangere di felicità come fa la vecchia
Orulo dopo avere raccontato la propria storia e, grazie a questo, essere tornata
per un attimo bambina.
Tradotto dalla mano e dalla sensibilità di Bruno Berni Il grande viaggio in slitta diventa dolce, elegante, intimo.
Non lo avrei mai letto, se non me lo avesse consigliato qualcuno. Ora tocca a
me consigliarlo ad altri.