Elegantemente tradotto da uno specialista, Saverio Ansaldi, appare finalmente in italiano Spinoza e il problema dell'espressione di Gilles Deleuze (Quodlibet, pp. 288, £. 46.000). Da quando questo libro è apparso- eravamo nel '68 - non ha finito di rivoluzionare gli studi spinozisti. Nello stesso anno fu anche pubblicato 1'altro testo fondamentale del rinnovamento spinoziano, Individu et communauté chez Spinoza di Alexandre Macheron: opera questa che, pur venendo dalla tradizione accademica (ed in particolare affondando sulle ricerche di Martial Gueroult e sull'ispirazione di un certo althusserismo), singolarmente concordava con quella deleuziana nei punti centrali di lettura del filosofio olandese.
L'operazione era paradossale: sia Deleuze che Machemn prendevano infatti sul serio la secolare denuncia di materialismo che le chiese e le inquisizioni di tutti i Regni avevano rivolto contra la filosofia di Spinoza, l'accettavano. L'immanentismo assoluto dello spinozismo non era dunque panteismo, bensì materialismo.
Così venivano, d'un sol colpo, eliminate le varie versioni della sostanza spinozista, di volta in volta più o meno cartesiana, più o meno hegeriana, sempre trascendentale: no, quella sostanza era materia che produceva, mostrata attraverso una maniera innocente di pensare a partire dall'infinito. Ora, l'infinita sostanza che produce, è espressione.
A questo punto, se Macheron devia la ricerca, dalla teoria del1'espressione, verso possibili (ma improbabili) fonti ebraiche e mistiche della medesima (salvo ritornare ad una forte insistenza sul discorso materialista attorno ad un terra - quello della comunità- fin'allora insufficientemente considerato dalla filosofia spinoziana), Deleuze vi si trattiene con grande forza. Qui esplode l’originalità della sua lettura, quando qualifica l’espressione in termini ontologici, in termini di potenza. È difficile spiegare brevemente che cosa sia potenza. Per farlo, andrebbe riassunto l'intero corso della filosofia di Deleuze, cosi com'essa si propone al limite estremo dei «moderno» - corso che Deleuze, al contrario di e contro Heidegger, fa convergere interamente su questo concetto. Possiamo, privi dello spazio per una più larga discussione, dire che la potenza non è, aristotelicamente, né un vuoto né una possibilità: è, bensì, una forza che vive, megliio, è corpo.
Non è dunque né un vuoto né un pieno, ma un corpo, cioè un groviglio di desideri, tesi nel conoscere, nel resistere, nel creare. Nosse volle posse: la trinità rinascimentale è qui rinnovata. Ora, se volete andare in fretta nel leggere lo Spinoza di Deleuze (fareste un grave errore a non studiarvelo tutto!), se dunque volete abbreviare, prendete i capitoli da XIV a XVII (Che cosa può un corpo?, Il problema del male, La visione etica del mondo, Le nozioni comuni): qui comprenderete come la fisica dei corpi possa mostrarsi quale movimento delle passioni; vedrete l'essere nel mondo esprimersi in infinite oscillazioni attraverso le quali le potenze si singolarizzano; e solo il positivo farsi esistenza laddove il male è assenza assoluta di essere; comprenderete come il comportamento etico possa essere affermazione pura e 1'uomo saggio sempre gioioso.
In più, assisterete qui ad un feroce attacco, spinoziano e deleuziano, contro ogni possibile forma di universalismo e di trascendentalismo, -superstizioni popolari e strumento di dominio per coloro che detengono il potere. Demistificazione ovvero critica, illuminismo ovvero etica, materialismo ovvero rivoluzione: qui i termini di una possibile sovversione moderna, concepita da Spinoza, si articolano alla proposta post moderna vissuta da Deleuze: nella ontologia della potenza.
Un'ultima questione: perché questo libro è stato così poco letto in Italia (a differenza di quanto è avvenuto in Francia o negli Usa, per non parlare che dei maggiori)? Quando sottolineo questa situazione, non parlo evidentemente degli specialisti della filosofia di Spinoza, che pure l'hanno, in Italia, debolmente ritenuto; parlo piuttosto dei lettori più interessanti, di coloro che si muovono al bordo del postmoderno; essi sembrano, purtroppo, avere assunto - del superamento del moderno - solo il principio di krisis e mai quello di potenza. Questa definizione insufficiente del materialismo e della genealogia del presente partecipa di un'ideologia monca e parassitaria, di uno storicismo perenne e di un'ermeneutica debole, dell'incapacità di assumere la produzione (ed eventualmente resistenza e rivolta) come motori di trasformazione ontologica e quindi come paradigmi della singolarità e del divenire etico. Scappa da ridere, assistendo alle attuali esibizioni della filosofia debole post-moderna, sia essa d'origine heideggeriana e d'ontologia negativa, oppure ermeneutica ed umanistica, di esser costretti a riconoscere che l'unica «novità» (per così dire) è in esse la negazione della potenza affermativa della prassi e la sconcia ripetizione della non creatività della libertà della moltitudine. Proprio il contrario di quel che diceva Spinoza e ci conferma Deleuze.
Ora, quelle posizioni (la cui funzione è solo, a destra e a sinistra, di neutralizzare il sapere e la sovversione) sono così comuni nel mondo intellettuale italico, da spingerci a dare a questa traduzione del deleuziano Spinoza un benvenuto che non è solo filosofico ma politico, innocente e, al tempo stesso, settario. Offrite questo libro agli amici, soprattutto ai sostenitori della «terza via» (anche voi ne avrete nella cerchia dei vostri conoscenti), in occasione delle feste natalizie: serve a fargli andar di traverso il cappone…