I discorsi genealogici sono i discorsi inattuali per eccellenza. Ne
sanno qualcosa Friedrich Nietzsche e Michel Foucault, proprio perché il
metodo comune ai due grandi filosofi procede a ritroso nelle pieghe
della storia, animato dal motore del sospetto, fino all’origine dei
concetti (che spesso si rivela meno nobile di quel che ci si attende, o
quantomeno sorprendente). Così, per risolvere problemi di scottante
attualità, c’è bisogno di calarsi nella più profonda inattualità. Magari
retrocedendo fino alle prime comunità cristiane e al loro modo di
interpretare il messaggio di Cristo, fino a rinvenire nella patristica e
nel monachesimo gli inizi di quella che Elettra Stimilli chiama
“economia della salvezza”.
Il cristianesimo infatti non viene concepito dall’autrice come
antitetico al capitalismo. Potremo anzi dire che gli spiana la strada.
La sua analisi infatti si pone in continuità con quella, attualmente
meno citata rispetto al secolo scorso, di Max Weber, il cui concetto di
ascesi intramondana costituisce il vero leit-motiv del libro della
Stimilli. Nel suo L’etica protestante e lo spirito del capitalismo,
infatti, l’autore tedesco mette in relazione l’etica del lavoro
calvinista e il modo di produzione capitalista servendosi del concetto
di ascesi intramondana. Il seguace di Calvino infatti non attende la
fine dei tempi per capire se le sue opere sono gradite a Dio, anzi, è
proprio nel mondo, grazie al successo delle proprie azioni, che l’uomo
può comprendere se è in stato di grazia o meno. La Stimilli allora
interpreta questo concetto in Weber come “la prassi che consente di
svincolare la razionalità dalla finalità estrinseca di una remunerazione
trascendente” lasciando emergere “l’autofinalità a cui l’azione umana è
preventivamente consegnata e che nel capitalismo assume la forma
irrazionale di un’impresa fine a sè stessa”.
Per spiegare questa particolare concezione bisogna rivolgersi alla
distinzione, di aristotelica memoria, tra poiesis e praxis. Mentre il
primo concetto si può spiegare come agire produttivo, il cui risultato è
diverso dall’azione stessa perché lascia in dote appunto un’opera; il
secondo inerisce a una finalità senza scopo in cui il fine è proprio
“agire bene”: è la capacità più propria dell’uomo, quella di avere uno
scopo che non si risolve nella realizzazione di un qualcosa di
estrinseco. Bisogna analizzare per bene questa distinzione, se si vuole
giungere al cuore dell’argomentazione della Stimilli costituita da una
duplice critica.
Anzitutto il rimprovero verso la corrente anti-utilitarista legata a
doppio filo alla figura di Marcel Mauss e a tutti i personaggi che hanno
orbitato intorno alla sua riflessione. Infatti l’autrice de Il debito
del vivente non può che scagliarsi contro chi ha interpretato il
capitalismo come attento unicamente ai processi di produzione, di ciò
che è utile appunto, tralasciando la finalità senza scopo dei diktat del
nostro sistema economico: asserzioni quali il profitto per il profitto e
l’autoreferenzialità di un’impresa fine a sè stessa, sarebbero dovuti
balzare agli occhi dell’autore del Saggio sul dono. Sembra strano
tuttavia, che l’autrice rivolga le sue critiche anche a Georges
Bataille. Leggendo infatti la Nozione di dispendio e La parte maledetta,
emerge dal contesto come il filosofo francese quando parla di economia
ristretta – volta ai processi di acquisizione e produzione, votati
all’utile – e di economia generale – che comprende all’interno anche i
processi improduttivi, votati al piacere – si riferisca alle
interpretazioni manualistiche del nostro sistema economico. Bataille non
ha mai voluto negare che esista il dispendio improduttivo nel
capitalismo, anzi invita i suoi colleghi appunto a pensarlo, perché il
movimento generale dell’universo ci dice che una parte dell’energia
impiegata nelle attività di produzione finisce sempre per essere
sprecata improduttivamente. Questa è secondo il filosofo francese la
parte maledetta di sé che il capitalismo vuole nascondere. Se nelle
società pagane la depense era pubblica e tra gli altri poteva dar vita a
valori come la generosità, la nobiltà e l’onore; ora la depense si
privatizza perdendo i connotati positivi che aveva e mantenendo
unicamente quelli negativi. Chiamiamo in causa lo stesso Bataille a
sostegno della nostra tesi:
“Tutto ciò che era generoso, orgiastico, smisurato è scomparso: i temi
di rivalità che continuano a condizionare l’attività individuale si
sviluppano nell’oscurità e assomigliano a eruttazioni vergognose. I
rappresentanti della borghesia hanno adottato un comportamento
riservato: ora lo sfoggio delle ricchezze si fa privato in conformità a
convenzioni cariche di noia, deprimenti”.
Come non vedere in queste parole quei programmi televisivi dove le
celebrità presentano le loro ville da sogno, lasciando allo spettatore
solo l’invidia, al contrario delle feste pagane in cui il cittadino
partecipava della spesa improduttiva dei ricchi?
Tornando a ciò di cui ci stiamo occupando, Elettra Stimilli arriva a
pensare la finalità senza scopo come concetto cardine dell’essere
dell’uomo, messo a repentaglio da alcuni attacchi. Già il cristianesimo
infatti, dopo le esperienze delle prime comunità, con la nozione di
peccato riesce ad investire sull’essenza dell’essere umano.
Quell’autofinalità di cui abbiamo parlato con la nozione di colpa e la
concessione della grazia, viene imbrigliata in un sistema in cui
l’azione non si esaurisce mai, ma viene sempre rimandata al futuro.
L’ascesi, in questo senso, agisce sulla capacità dell’uomo, che non
possiede un’essenza predefinita, di dar forma alla propria vita. Questi
infatti modella “liberamente” la propria vita su alcune regole di
condotta, l’adesione alla legge non avviene più, come nell’ebraismo,
come risposta a un ordine, ma è improntata sul concetto di fiducia. La
stessa che i mercati chiedono ai loro investitori. Si capisce allora
come con l’ascesi intramondana, nel capitalismo sia subordinata ai
dettami del concetto irrazionale di un’impresa fine a sè a stessa.
L’essere dell’uomo viene così trasformato in essere in debito. Se la
felicità, come dice Aristotele è la “possibilità di un atto compiuto”,
la nostra specie viene destinata all’infelicità dalla propria
organizzazione economica: il debito è rimandato continuamente, non viene
mai saldato definitivamente. Il capitalismo può essere così
interpretato come quella religione cultuale “che assolve a compiti
meramente pratici”, perché, come dice Walter Benjamin in quel bellissimo
frammento intitolato Il capitalismo come religione riportato per intero
nel libro della Stimilli “la trascendenza è caduta (…) ma Dio non è
morto, è stato piuttosto incluso nel destino dell’uomo”.
La Stimilli però, non propone come altri prima di lei, di disattivare
quella finalità senza scopo che è propria dell’essenza umana, quanto
piuttosto di riattivarla come tale, di utilizzare la più grande risorsa
dell’uomo, cioè quella di dar forma alla propria vita, in senso
positivo, liberandoci una volta per tutte del debito che attanaglia le
nostre vite.