Recensioni / Il favoloso mondo di Yona

Ci sono architetti che per raggiungere fama e notorietà hanno costruito decine di edifici. Ad altri, invece, è bastato non costruire nulla. O quasi. È il caso di Yona Friedman, l’architetto più visionario e filosofo che ci sia. Ha costruito giusto un paio di case. Eppure il suo discorso urbano e architettonico è uno dei più importanti del Novecento. I suoi scritti, i suoi disegni un po’ sghembi, le forme e i ritratti che sembrano disegnati da un bambino hanno influenzato più d’una generazione di architetti e di studiosi. Ebreo, ungherese di nascita (1923) e poi nelle fila della resistenza antinazista; nel dopoguerra in Israele; infine francese d’adozione dalla fine degli anni Cinquanta, Friedman rimane uno splendido “fanciullo” che, a ottantotto anni, non smette di provare stupore. Ed è così, stupendosi, che con eleganza e nonchalance è diventato un punto di riferimento teorico. Basterà sfogliare il suo più famoso pamphlet, Utopie realizzabili, ma anche i volumi appena pubblicati Hai un cane? e L’ordine complicato (tutti editi da Quodlibet) per rendersi conto di quanto sia ricca la sua “immaginazione concreta”. Questo il punto: a Friedman interessa poco la “costruzione” nel senso architettonico, poiché c’è un limite entro il quale possiamo edificare il nostro mondo e quel limite, ci dice, l’abbiamo già raggiunto. Piuttosto gli interessa “costruire un’immagine”. Immaginare la realtà: ecco cosa fa Friedman. E nel farlo ripensa l’architettura, come fece negli anni Sessanta coniando il suo concetto più radicale di ville spatiale. Scrive Manuel Orazi nella sua postfazione a L’ordine complicato: «l’ordinamento della città anziché organizzarsi per oggetti giustapposti – gli edifici – deve piuttosto concentrarsi sui soggetti che li determinano, vale a dire gli abitanti».
I disegni e le complicate costruzioni ordinate di Friedman (con le quali riempie la sua casa, qui di fianco) hanno attirato l’interesse dell’arte contemporanea. Protagonista a diverse edizioni della Biennale di Venezia e a Documenta di Kassel, è ora in mostra nella sua città natale, Budapest. Un’esposizione organizzata secondo i suoi concetti chiave: vi sono montate installazioni su larga scala che servono da cornice ai disegni, le illustrazioni e le maquettes in mostra. In fondo, è un invito a osservare il mondo con un altro sguardo. Perché, come recita il detto popolare parigino che Friedman mette in esergo al suo L’ordine complicato, «L’umanità è diventata troppo intelligente per riuscire a capire qualcosa del mondo».