Il relativismo è la bestia nera di tutti i fondamentalismi religiosi.
Chi propone una verità esclusiva non tollera che la sua merce sia messa
sullo stesso banco delle altre, paragonata e soppesata e magari
individuata come un prodotto storico, con tanto di data di nascita e
rapporti di parentela con quelli della concorrenza.E tuttavia non c'è
dubbio sul fatto che la cultura occidentale è impastata di relativismo:
lo scopriamo ogni volta che ci confrontiamo con l'alterità culturale di
paesi dove - è storia di questi giorni - i meccanismi elettorali
democratici portano al potere partiti religiosi. Naturalmente, qui si
impone una distinzione necessaria: c'è un relativismo banalizzante,
quello che si esprime nella considerazione che non c'è niente di nuovo
sotto il sole;e c'è un relativismo stimolante, quello che confronta,
analizza e cerca di cogliere le relazioni. Quando Niccolò Machiavelli
confrontò Mosé con Numa Pompilio e la religione antica di Roma con
quella della Roma cattolica, fece il salto di qualità che distingue il
relativismo banalizzante dal distacco intellettuale di chi si pone come
osservatore al di fuori e davanti all'oggetto osservato. In termini di
storia della cultura, la conquista del punto di vista dell'osservatore
occupò la cultura europea su di un lungo arco di tempo, dal '400
italiano fino all'Illuminismo, passando attraverso la scoperta
dell'America e le tragedie delle guerre di religione e del colonialismo
benedetto dai missionari cristiani.
Ma questo stesso percorso si propose e continua a riproporsi nella vita
delle persone e può essere compiuto nello spazio di una vita
individuale. Lo dimostra il caso di Carl Leonhard Reinhold, un autore
importante nella cultura di lingua tedesca che solo oggi trova per la
prima volta un editore italiano. Sulle sue qualità di scrittore basti
dire che senza la sua opera la filosofia di Kant non avrebbe conquistato
il mondo della scuola e dell'università nel secolo d'oro dell'idealismo
filosofico. Ma la ragione che riporta tra noi questo scritto va cercata
nella biografia intellettuale di uno dei più noti e letti studiosi del
fenomeno religioso e della teologia politica. Senza questo scritto forse
Jan Assmann non avrebbe avuto l'idea di fondo del suo Mosé l'egizio.
Perché questo è precisamente il tema del piccolo libro di Reinhold, I
misteri ebraici ovvero la più antica massoneria religiosa, edito da
Quodlibet (pagg. 258, 18 euro), a cura e con un saggio di Gianluca
Paolucci e con una introduzione scritta appositamente da Jan Assmann.
Davanti a un titolo che parla dell'ebraismo come la più antica
massoneria forse qualche lettore si chiederà se non si tratta per caso
dell'accusa di complotto giudaico-massonico scagliato contro i
rivoluzionari francesi a fine '700 dall'abate Barruel e diventato la
fissazione dei gesuiti della Civiltà cattolica negli anni di quella
feroce battaglia antigiudaica e antimassonica che li vide condividere
l'antisemitismo del "socialismo degli imbecilli". Il fatto è che
Reinhold fu gesuita e massone. Un fatto solo apparentemente singolare,
che ci aiuta a capire come la storia cambi continuamente i colori delle
cose e i significati delle parole. Nel suo tempo tra Compagnia di Gesù e
Massoneria ci fu un'intensa simpatia; i gesuiti frequentavano le logge
stimolati dall'idea che presiedeva all'origine del loro Ordine, quella
della fiducia nel potenziale rivoluzionario dell'intelligenza come
strumento d'azione di una piccola élite illuminata da Dio.
Carl Leonhard Reinhold (nato in Austria nel 1758, morto a Weimar nel
1823) cominciò la sua carriera come gesuita e lo rimase fino allo
scioglimento della Compagnia, un evento traumatico per un Ordine
religioso che si sentì mal protetto dal papato e che vide la dispersione
degli ex membri. La storia dei gesuiti nell'impero asburgico e dei loro
percorsi massonici, come ha mostrato un ottimo libro di Antonio
Trampus, vide i membri del disciolto Ordine religioso confluire nelle
logge massoniche per dividersi poi tra un versante illuministico aperto a
idee rousseauiane e un versante reazionario di appoggio
all'assolutismo. Reinhold non seguì né l'uno né l'altro filone:
convertitosi al protestantesimo per l'influsso di Herder, trovò in Kant
il maestro della sua vita, colui al quale dedicò la sua straordinaria
capacità di divulgatore e di docente universitario nella fase matura
della sua attività. Da questo rapido curriculum si può già intuire come i
percorsi della sua vita lo avessero predisposto al relativismo e
stimolato alla comparazione. La Compagnia di Gesù aveva portato un suo
straordinario contributo in tal senso quando, sul fondamento di un
impulso mistico all'azione salvifica, aveva innestato il suo metodo che
fu detto dell'accomodamento: porsi dalla parte dell'altro, imparare la
lingua di giapponesi, cinesi, indios d'America, abituarsi a vedere le
cose coi loro occhi come mezzo per poter meglio conquistare neofiti al
cristianesimo. Ma il mezzo era rischioso, come intuironoi rivali
domenicani. Comportava da un lato l'abitudine a ricercare analogie e
parentele, e dall'altro la semplificazione delle dottrine, col risultato
di spogliare il cristianesimo della lussureggiante vegetazione di
culture europee cresciuta sul suo tronco. Quanto al lavoro della
comparazione, i punti obbligati di riferimento erano sempre quelli: la
religione ebraica, madre che resisteva all'abbraccio e alle vessazioni
dei figli cristiani; e la misteriosa religione egizia, con quelle
piramidi e quei tipi umani così simili ai reperti archeologici delle
culture dell'America centrale da suggerire l'ipotesi di una lontanissima
migrazione di popoli mediterranei oltre Oceano.
L'idea di Reinhold fu semplicissima: mentre altri sviluppavano
comparazioni superficiali cercando analogie formali fra miti pagani
antichi e racconti biblici, egli propose l'idea di un nesso diretto, un
anello storico di trasmissione tra i misteri egizi e la religione
mosaica. L'anello sarebbe stato Mosé, una specie di massone ante
litteram, un capo politico che avrebbe fatto della sapienza segreta
degli egizi la religione del popolo ebraico. Era un passo ulteriore
rispetto all'intuizione di Machiavelli. Si poteva così ritrovare il
nucleo della religione di Mosé in quei misteri egizi così familiari ai
frequentatori delle logge massoniche e prima che a loro all'erudizione
curiosa e raffinata della cultura gesuitica del '600. Dalla comparazione
nasceva un'ipotesi di derivazione e di sviluppo. È su questa base che
si doveva sviluppare ai nostri giorni la ricerca di Jan Assman. Ma
anche, prima e più in generale, doveva partire da qui l'impulso a porre
la comparazione come metodo al centro della moderna scienza storica
delle religioni in un assetto statale del sapere.