La preghiera può essere gesto pubblico, accompagnato dalla recitazione, dal canto, dalla professione corale di fede, ma anche nei casi che prevedono la condivisione rimane tuttavia intimo, privato, silenzioso. L'immagine di un essere umano raccolto in preghiera ha una valenza universale. Forse per questo, e per questo nostro tempo votato alla verbosità, scegliere come soggetto per un libro fotografico il momento della preghiera, catturare i volti degli orantes, è stata un'intuizione felice. Nella breve postfazione, la giovane fotografa milanese si limita a tracciare i contorni entro i quali il lavoro si è svolto - le tre religioni monoteiste - e i luoghi dove ha scattato. Tanto deve bastare. Per il resto sono le immagini a tessere la tela del racconto. A far riconoscere nei volti delle centinaia di uomini in ginocchio piegati verso la Mecca lo stesso raccoglimento che si coglie in quelli delle donne in preghiera davanti al santuario di Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Mentre questi due gruppi di fedeli sono ripresi all'aperto, le immagini degli ebrei ortodossi sono scattate all'interno della loro scuola. E bastano due foto in sequenza - una bimba di poco più di un anno che cerca di arrampicarsi su un gradino e poi si accascia esausta - per capire che anche per loro la preghiera è il timone per attraversare le intemperie della vita.