Recensioni / Quegli studi di Petrarca architetto

Nell'Italia del Trecento la parola "paesaggio" non è ancora comparsa e basterebbe questo dato di fatto ad attutire gli entusiasmi dl quanti – a cominciare da Alexander von Humboldt e Jacob Burckhardt – hanno individuato in Francesco Petrarcal'antesignano di tale concetto, plasticamente evidenziato dalla famosa lettera sull'ascesa al monte Ventoso. Carlo Tosco lo ricorda nella prefazione al suo bel libro Petrarca: paesaggi, città, architetture (Quodlibet). E, paradossalmente, è proprio questa saggia prudenza storiografica a consentirgli poi di mostrare la grande dimestichezza del poeta in tutti quegli ambiti disciplinari che concorreranno, di lì a poco, alla definizione di una vera e propria filosofla del paesaggio.
Muovendosi con agio dalla geografia al­l'architettura, dall'archeologia alla letteratura, e combinando queste conoscenze teoriche con esperienze sul campo, Petrarca, pur rimanendo in pieno un uomo del suo tempo, sembra prefigurare la perimetrazione ideale di una compiuta "percezione estetica della natura". E del ruolo giocato dall'intervento dell'uomo. Tosco, aiutato dalle immagini che corredano il saggio, non sceglie la strada della biografia petrarchesca, ma piuttosto quella tematica. E via via ci racconta la fascinazione del poeta per gli spazi abitativi delle città di mezza Europa e per l'architettura monumentale: sia quella classica,via Vitruvio, sia quella contemporanea.
Anche se niente reggerà il confronto con la potenza evocativa esercitata dalla visione delle rovine dell'impero romano, inarrivabile modello morale e politico: «non mi meraviglio che il mondo sia stato domato da questa città». E lo stupore si raddoppierà visitando Baia, grazie alla scelta di un arifitrio­ne d'eccezione come Virgilio. Nella dimensione del viaggio, del resto, si intrecciano sempre le dirette esperienze sensoriali con quelle indirette, di ordine letterario. Può accadere però che le seconde sopperiscano alla mancanza delle prime, finendo per sostituirle. Come in un libello del 1358, che vede Petrarca raccontare un pellegrinaggio in Terrasanta, in realtà mai compiuto. A noi suona strano, ma in età medievale, rammenta Tosco, era prassi comune abbandonarsi alla lettura di un itinerarium concepito come mero tessuto di citazioni classiche. E comunque Petrarca trova ugualmente il modo di stupirci, perché la prima parte dell'itinerario, da Genova a Napoli, gli è invece perfettamente nota. Dunque in questo tratto di viaggio può dispiegare per intero la concreta modernità del suo sguardo: conformazione del territorio e sua antropizzazione, bellezze naturali e artistiche. Non manca nessuna carta del mazzo: la cultura del paesaggio è pronta per la sua lunga avventura.