Recensioni / L'oroscopo degli irregolari

Qual è il modo migliore di conoscere qualcuno? Riuscire a distaccarsi un po' da lui e metterlo in relazione con qualcun altro, istituendo una serie di feconde somiglianze-dissomiglianze che ne tratteggino poco a poco la silhouette. L'Analogia, figura centrale della retorica, funzione importante dell'argomentazione e dell'invenzione, può divenire il nostro principale strumento ermeneutico. Merito principale di Genealogie. Saggisti e interpreti del Novecento di Angela Borghesi è aver applicato e valorizzato creativamente questo metodo conoscitivo. La sua penetrante ritrattistica – che si sofferma su indizi di ogni tipo procede per contrasti e differenze, in ciò ispirandosi proprio a due dei suoi più «spiazzanti» (come scrive) maestri novecenteschi: Enzo Paci, che indaga tutti i possibili legami tra i fenomeni «in nome di un'armonia desiderata e cercata appassionatamente», e Giacomo Debenedetti, per il quale «spiegare consiste nel rivelare che una cosa è come un'altra cosa, come tante altre cose, che le somigliano e insieme ne segnalano la speciale, insostituibile identità».
Il libro, che ricostruisce un fitto albero genealogico di figure irregolari della saggistica (da De Sanctis a Berardinelli) – con le loro filiazioni e discendenze spesso sorprendenti – ci mostra la prossimità del critico allo scrittore: entrambi hanno a che fare con la trama oscura della realtà, con una verità ultima dell'esperienza intesa soprattutto come "relazione". Né sembri abusivo associare questa particolare modalità conoscitiva – «analogica» – con alcuni caratteri tradizionalmente attribuiti al "femminile": conoscere una realtà attraverso le sue molteplici relazioni con un'altra realtà significa infatti circumnavigarla senza violarne l'intimità e rinunciando a "possederla". Lo stile critico dell'autrice è puntuto e insieme affabile, di felice precisione nelle sintesi, a volte perentorio nello scatto polemico («sui canoni novecenteschi Contini non sempre colse nel segno») e altre volte incline al "racconto" lirico, all'uso metaforico della pagina letteraria. Ad esempio le due passeggiate proustiane di Debenedetti e Contini (a proposito della lettura di Pascoli), una più breve dalla parte di Méseglise, l'altra più lunga, con le ninfee della Vivonne; o anche la chiusa del libro, in cui l'insegnante di scuola saprà di essere stata utile solo quando un suo allievo, passeggiando nella notte primaverile, al profumo dei gelsomini sentirà affiorargli alle labbra l'andante pascoliano «E s'aprono i fiori notturni»…
Nel caleidoscopico album di famiglia messo a punto dall'autrice vediamo sfilare, a coppie o a quadriglie, una moltitudine di personaggi. Debenedetti – che tra l'altro aderisce al Pci per «l'esigenza di sentirsi accolto, protetto, integrato non più da un'algida e aristocratica élite… ma da un vasto, caldo grembo in cui riconoscersi fraternamente» –, Contini, accostato a Debenedetti, con originale intuizione, proprio sul piano dell'analisi linguistico-sintattica, Garboli – che diagnostica i mali di chi ci è più vicino per diagnosticare i propri» e renderli più sopportabili, Fortini – il cui Verifica dei poteri è libro «spinoso», anche se resta «un critico finissimo» nel rilevare cadenze "retorico-stilistiche" dei testi letterari, poi Lavagetto, Bellocchio – «con divertente e divertita leggerezza… ricompone un ritratto italiano che fa ridere e insieme piangere», Berardinelli – che unisce entro uno stile personalissimo la debenedettiana varietà dei metodi con la radicalità e concentrazione fortiniana, e infine due saggisti stranieri come Enzensberger e Steiner.
Una delle parole-chiave nel libro è «oroscopo». Non per un omaggio della Ragione all'Irrazionale, né si tratta di propensione dell'autrice all'esoterico, ma perché quella parola ha a che fare con il concetto di destino, che, come sappiamo, in Occidente è stato ormai lasciato alla cura di chiromanti e romanzieri. L'opera letteraria sempre disegna un destino, nel quale ciascuno di noi può riconoscersi. Compito del critico è aiutarci a decodificarlo, proprio come fa un astrologo con il tema natale, per assumerlo responsabilmente e così trovare una via di scampo alle nostre angosce. In ogni pagina del libro sentiamo infatti vibrare – secondo la lezione esistenzialista di Paci – una idea di umanesimo critico, una accezione "positiva" di cultura contro ogni retorica nichilistica e ogni cedimento estetizzante all'apocalisse: la nekuia, la indispensabile discesa agli inferi, che sempre comporta il rischio della perdita, si alimenta della fiducia nella possibilità «che l'uomo ha di affrontare e risolvere il proprio compito». Ed ecco che attraverso queste pagine si delinea l'utopia culturale cara ad Angela Borghesi: da una parte l'intellettuale eretico, disorganico a partiti, accademie, gruppi di potere, l'«uomo in piedi» (Debenedetti) e dall'altra l'illuminista attratto dal mistero e dal buio, l'interprete sciamano, il veggente orfico che, con la sua ostinata razionalità argomentativa, si sporge continuamente sull'altro da sé, impegnato a decifrare gli oracoli custoditi nelle opere. Una utopia tutt'altro che inattuale.