La matematica potrebbe sembrare la dimensione più distante dall'arte.
Non è così per Yona Friedman, architetto quasi novantenne che ha vissuto
la resistenza al nazismo (Yona è il nome di battaglia di Janos Antal
F.) e i primi anni della fondazione di Israele apprendendo da questo
come la costruzione più adatta avvenga per processi partecipativi,
l'autocostruzione, spesso i materiali poveri e immediatamente
disponibili. Per Friedman, la scienza e l'arte sono attività creatrici
affini, fondate sull'osservazione e l'«intuizione creatice». La
conoscenza passa infatti dall'osservazione delle cose nella loro
«totalità», che è offerta dall'immagine: le parole permettono l'analisi e
procedono per accumulazione, l'immagine invece raccoglie, senza
distinguere, ed è unitaria (nei cani, ci dice Friedman, ancor più che
negli uomini). Come si può dunque pensare di «costruire» un'immagine?
Per articolare il proprio pensiero, Friedman «costruisce» un piccolo e
densissimo libro di appunti e schizzi, partendo dalla matematica, dai
concetti di ordine e regola, per arrivare ai modelli di comprensione
dello spazio.
La conoscenza infatti, deriva dall'ordine che diamo alle cose che non è
quasi mai un «ordine naturale», quanto piuttosto un «ordine complicato»
che può apparire assente o, nel migliore dei casi, arbitrario, per chi
non lo conosce. È ciò che distingue l'ordine numerico (1+1+1 ecc.) da
quello alfabetico, se non si conosce l'ordine delle lettere, la loro
sequenza può apparire caotica, mentre si tratta di un ordine complicato
stabilito dalle persone per poter conoscere. Ecco allora che il soggetto
che determina il processo di conoscenza assume un ruolo preminente
sull'oggetto. Lo stesso accade nella città, fra gli edifici e chi li
abita.