Recensioni / Il dispiacere di incontrare Sartre

Rileggere il reportage continiano sugli intellettuali riuniti a Ginevra

A cura di Luca Baranelli e con un saggio-postfazione di Daniele Giglioli, è appena uscito un reportage culturale del giovane Gianfranco Contini, “Dove va la cultura europea? Relazione sulle cose di Ginevra”. Il testo fu pubblicato nel novembre 1946 sulla "Fiera letteraria". L'ampio testo (di non agevole lettura e non privo, in verità, di strozzature espositive, se non di ammicchi) riassume quanto avvenne nel primo dei Rencontres internationales appena svoltosi a Ginevra, con la partecipazione, fra gli altri, di Bernanos, Denis de Rougemont, Benda, Flora, Jaspers, Lukàcs, Spender, Merleau-Ponty. Tutti nomi di cui non era facile accontentarsi perché facevano subito pensare a quelli dei molti assenti, che Contini per primo avrebbe ascoltato volentieri: anzitutto Gide, Eliot, Croce, Ortega y Gasset, Montale, Silone, Maritain, Berdjaev, Karl Barth. Tra le voci di corridoio registrate da Contini, se ne ricordano in particolare due. La prima è che Croce, inizialmente previsto, abbia poi rinunciato a venire per evitarsi il dispiacere di incontrare Sartre (che pure non si presentò).
La seconda delle voci riguarda Lukàcs, deluso di dover discutere con Jaspers: “Nei corridoi dichiarava che come avversario avrebbe preferito un Heidegger”. Insopportabile risulta a Contini “l'energumeno Bernanos (...) che poté spacciare a una folla serale in un autentico teatro il suo ircocervo di sciocchezze, di logica e finezza victorhughiane”. Ma poco sopportabile gli risulta anche Spender, anzitutto “per la totale (e quanto inglese) mancanza di razionalizzazione e per la mediocre fonazione del suo francese”. Così sembra che la caricatura continiana di Spender ne faccia soprattutto una specie di esemplare tipico dell'inglese, evidentemente poco apprezzato dal nostro critico: “Troppo alto per evitare qualsiasi sospetto di goffaggine, coi tratti del volto e le ciocche fulve che gli sfuggono da ogni parte, la carnagione sanguigna dai traumi atmosferici del nord, il portamento più giovanile che non porterebbe la sua nascita nel 1909, le camicie turchino cupo, sospesa per una cinghia splendidissima alla spalla una ‘camera' perlomeno da colonnello, che egli azionava a ritrarre le scene più divertenti, in bocca sigaretti puntuti frammezzo a tante sigarette d'intellettuale (Lukàcs ne consumava in dosi da maniaco), aveva tratti etnici pronunciatissimi. etnica soprattutto la buona fede, l'infantilità ritardata”. Insomma più o meno un coglione, secondo Contini: anche se non è del tutto chiaro il perché. La vera e pura intelligenza, tagliente e razionale, un po' inumana, viene riconosciuta quasi esclusivamente a Lukacs. E questa è una notizia. L'azionista Contini sceglie il marxista Lukacs, non l'esistenzialista Jaspers. Contini vuole che la cultura parli di politica e che la Resistenza, - che è stata “soprattutto impulso religioso” e “forma eroica”, senta “l'obbligo morale di acquistare la competenza a governare”. Dunque il Contini politico è sia religioso che realista. Il suo azionismo simpatizza metodologicamente con la politica comunista, escludendone i contenuti e implicando, invece Cristo. Scrive Contini: “Capisco che Cristo non è cultura, secondo la suggestiva formula di Bo (certo, certo, ma è un po' più grave che la cultura e non sìa Cristo)”. In conclusione, si prevede una pedagogia politicamente orientata, a base di intelligenza dialettica e tecnica. Sull'attualità di questo Contini è difficile pronunciarsi. Il suo discorso è troppo stringato per essere oggi facilmente comprensibile. Nel frattempo è passato più di mezzo secolo e fra i termini usati (dialettica, politica, Cristo eccetera) non ce n'è uno che possa essere usato senza discussione preliminare. Agli eventuali comunisti di oggi che si assumano anche Gesù, non riesco a credere. Quanto alla politica, è meglio che la cultura non la idealizzi, perché, politicamente parlando, la politica è quella cosa che fanno i politici, non quella che sarebhe bello che fosse. Così sembra che la caricatura continiana di Spender ne faccia soprattutto una specie di esemplare tipico dell'inglese, evidentemente poco apprezzato dal nostro critico: “Troppo alto per evitare qualsiasi sospetto di goffaggine, coi tratti del volto e le ciocche fulve che gli sfuggono da ogni parte, la carnagione sanguigna dai traumi atmosferici del nord, il portamento più giovanile che non porterebbe la sua nascita nel 1909, le camicie turchino cupo, sospesa per una cinghia splendidissima alla spalla una ‘camera' perlomeno da colonnello, che egli azionava a ritrarre le scene più divertenti, in bocca sigaretti puntuti frammezzo a tante sigarette d'intellettuale (Lukàcs ne consumava in dosi da maniaco), aveva tratti etnici pronunciatissimi. etnica soprattutto la buona fede, l'infantilità ritardata”. Insomma più o meno un coglione, secondo Contini: anche se non è del tutto chiaro il perché. La vera e pura intelligenza, tagliente e razionale, un po' inumana, viene riconosciuta quasi esclusivamente a Lukacs. E questa è una notizia. L'azionista Contini sceglie il marxista Lukacs, non l'esistenzialista Jaspers. Contini vuole che la cultura parli di politica e che la Resistenza, - che è stata “soprattutto impulso religioso” e “forma eroica”, senta “l'obbligo morale di acquistare la competenza a governare”. Dunque il Contini politico è sia religioso che realista. Il suo azionismo simpatizza metodologicamente con la politica comunista, escludendone i contenuti e implicando, invece Cristo. Scrive Contini: “Capisco che Cristo non è cultura, secondo la suggestiva formula di Bo (certo, certo, ma è un po' più grave che la cultura e non sìa Cristo)”. In conclusione, si prevede una pedagogia politicamente orientata, a base di intelligenza dialettica e tecnica. Sull'attualità di questo Contini è difficile pronunciarsi. Il suo discorso è troppo stringato per essere oggi facilmente comprensibile. Nel frattempo è passato più di mezzo secolo e fra i termini usati (dialettica, politica, Cristo eccetera) non ce n'è uno che possa essere usato senza discussione preliminare. Agli eventuali comunisti di oggi che si assumano anche Gesù, non riesco a credere. Quanto alla politica, è meglio che la cultura non la idealizzi, perché, politicamente parlando, la politica è quella cosa che fanno i politici, non quella che sarebhe bello che fosse.