Recensioni / LACAN / J. Alain Miller, il curatore dei «Seminari», recupera tranches de vie del maestro

Posto che isolare una qualunque frase di uno qualunque degli epigoni di Lacan e farci su quattro risate è tanto facile da risultare francamente disonesto, resistere tuttavia alla tentazione di infilzare una delle numerose locuzioni sapienziali erogate dai suoi adepti è impresa che sfiora l'eroismo. Com'è noto, il maestro intendeva parlare tra le righe a beneficio dei soli deputati a intenderlo, primo tra tutti colui che avrebbe eletto a stabilirne il dettato, Jacques Alain Miller, al quale dobbiamo infatti il testo dei Seminari, e ora anche una Vita di Lacan. Scritta a beneficio i dell'opinione publica illuminata.
Abbandoni ogni speranza chi, oltre a non risultare iscritto nei ranghi i dei suddetti illuminati, coltivi l'ingenuità di ricavare da questa breve testimonanza una parabola biografica i capace di colmare con qualche informazione sui trascorsi di Lacan, o sulla sua formazione, o sulla sua quotidianità, i collassi interpretativi indotti dalla sue lezione. I pochi dettagli riguardanti la vita dello psicanalista francese non fanno che esemplificare in forma aneddotica i tratti caratteriali che già gli conoscevano: «se c'era una cosa per lui ‘assolutamente intollerabile’ era di doversi fermare ai semafori rossi»; detto altrimenti, non sopportava alcun ostacolo. «Sapeva molto bene come comportarsi male»: detto altrimenti, andava fiero della sua tracotanza, ritenendola l'ovvio correlato dell'uomo di genio. Sembra che prima di sprofondare nel coma avesse detto di sé: «Sono ostinato», attributo che, in effetti, lo descrive al meglio, perché Lacan non era - a detta i dello stesso Miller - un «temerario», era invece un uomo che misurava la sua audacia e si teneva alla larga dalle cause perse. Forse fu anche perciò che, contrariamente a quanto vorrebbero i suoi adulatori postumi, non si iscrisse nelle fila della rivoluzione, perché anzi non nascondeva a nessuno il fatto di non considerarsi affatto un progressista.
Non si capisce se per rendergli merito, Miller dice che al tempo in cui lo conobbe, nel 1964, Lacan manovrava «come un capo», e definisce se stesso «il diretto testimone, e anche uno degli strumenti, della sua brillante contro-offensiva», ovvero la risposta alla «scomunica» che aveva estromesso Lacan dall'International Psychoanalytical Association l'anno precedente, a coronamento di una decennale tensione.
Da leggere con le mani giunte, più o meno come tutti i testi che si riferiscono al maestro, questa Vita si conclude del resto con una immagine che Miller rievoca a mo' di similitudine, e che non difetta certo di eloquenza: «Lacan nelle vesti di Arpocrate, nudo come Eros, l'indice posato sulle labbra, mi guarda. Obbedisco al Dio, e taccio.» Figurarsi noi.