Recensioni / Scoprite e quel suo capolavoro della filosofia

Guardo con curiosità una foto del 1968, inviatami da Quodlibet e ora nel sito della casa editrice. Dietro a un tavolo - durante un convegno a Milano - si vedono fra gli altri Umberto Eco, Michel Foucault e Enzo Melandri. Pare che Eco e Melandri quel giorno scommisero su come Foucault avrebbe pronunciato la parola "episteme". Melandri era il meno noto dei tre. Scomparso nel 1993, viene riedito integralmente da Quodlibet, che proprio in questi giorni ha ristampato La linea e il circolo. È un libro di quasi novecento pagine che Agamben, nell' introduzione, definisce un capolavoro della filosofia europea del Novecento. Uscì nel 1968 per il Mulino (casa editrice con la quale cominciò a collaborare). Era un lavoro pazzesco, anomalo. Intendo dire immotivabile. Non c' entrava niente con tutto quello che si cominciava a pubblicare in quella stagione di conflitti e di pretese. Ed era pazzesco anche perché esibiva qualcosa del lontano rigore medievale. Un labirintico desiderio di perdersi nei ragionamenti. Non a caso Eco parlò dei "meandri di Melandri". La linea e il circolo andrebbe letto non solo per lo sviluppo del tema fondamentale dedicato all' analogia. Ma anche per quella intuizione, che Foucault avrebbe sviluppato con il metodo archeologico, di una "storica critica" mirante al recupero del rimosso. È significativo che nel 1970 un gruppo di intellettuali pensò di dar vita a una rivista che si sarebbe dovuta chiamare Apocripha. Gli ideatori erano Italo Calvino, Gianni Celati, Guido Neri, Carlo Ginzburg e naturalmente Melandri. Alla fine non ne fecero niente. Il loro obiettivo era di lavorare sugli oggetti e gli eventi scartati dalla storia. Sulle cancellature e l' invisibile nella storia. In fondo, anche La linea e il circolo appartiene ai libri del nostro rimosso.