Recensioni / Il controllo dell'indeterminato

Quali sono le modalità d’espressione ancora possibili per l’architettura nella contemporaneità? Quali i modi del proporsi del progetto in un contesto che segna la fine di ogni certezza, la fine della credibilità di ogni azione di controllo del divenire? Attraverso una ricerca dai confini sfumati e pluridisciplinari, il volume ragiona sul ruolo che architettura e progetto assumono in una contemporaneità dominata da accezioni quali imprevedibilità e crisi. In tale contesto, secondo l’autore, è l’indeterminazione ad assumere il senso di quanto l’architettura è chiamata a definire. Tra i percorsi possibili, il testo struttura la prima parte della tesi esplorando la natura contemporanea dell’indeterminato, mediata attraverso interpretazioni incrociate di opere tratte dal mondo dell’architettura, dell’arte e della letteratura. In questo quadro, il significato di indeterminato assume una definizione per differenza, esprimibile con quanto l’architettura, intesa come “strumento di controllo dell’indeterminato”, è chiamata a definire. La seconda parte della ricerca snoda la trattazione lavorando per contrasto, da un’iniziale antinomia assunta nel rapporto tra progetto ed indeterminato, si giunge ad un ipotesi rovescia, un paradosso caotico nel quale è l’indeterminazione a controllare il suo opposto. L’indeterminato diventa doppio, copia, “entità in rapporto ad Altro e al divenire”, verificata attraverso quattro manifestazioni racchiuse in altrettanti casi od immagini (La maschera, La Patina, La sagoma, La minuta). L’immissione del progetto, ossia la variabile tempo, come entità che affianca e relaziona l’indeterminato, rappresenta il penultimo tassello del testo. Otto Potëmkin Villages sono, dunque, il tentativo di indagare il simulacro oggettuale e relazionale dell’indeterminato, attraverso manifesti contemporanei traducibili in realtà esemplari. La ricerca conclude il suo percorso con un’ultima escursione tesa a rintracciare le forme possibili di un progetto, quest’ultimo in grado di proporsi “in un contesto che segna la fine di ogni certezza, e dunque la fine della credibilità di ogni azione di controllo del divenire”.