Recensioni / Deleuze vive dentro bacon. L'ultimo «sguardo» del filosofo

È dedicata a Bacon una delle ultime opere di Gilles De­leuze, il filosofo francese morto sui­cida la settimana scorsa. Al di là del­l'artista irlandese, quello di Deleuze ‑ Francis Bacon. Lo­gica della sensazione (Quodlibet, pp. 248, L. 46.000) ‑ è un libro di grande respiro teorico, che spazia dall'arte egizia all'Action Painting di Pollock, in continuità con l'inda­gine estetica della scuola fenome­nologica francese, dal Merleau­Ponty de L'occhio e lo spirito al Lyotard di Discorso, figura.
Nel tentativo di delineare un'on­tologia del visibile, Merleau­Ponty sosteneva che la visione sensibile, incarnata, del pittore trasforma il mondo in pittura, offrendo allo sguardo ‑ prima che allo spirito ‑ la struttura immaginaria del reale. Quando la visione si fa gesto ‑ af­ferma Cézanne ‑ «il pittore pensa in pittura» e il suo fine ‑ dirà Klee ‑non è quello di riprodurre ciò che è visibile, ma di rendere visibile la genesi delle cose: Sichtbar ma­chen. Per Lyotard si trattava di ra­dicalizzare la fenomenologia della percezione esplorata da Merleau­Ponty assumendo il «partito preso» del figurale: l'evento non è ricon­ducibile ad un'economia discorsi­va, i cui dispositivi tendono a rias­sorbire l'Altro nello spazio del Me­desimo, ma si manifesta visibil­mente nella Figura, capace di acco­gliere le istanze incoercibili del desiderio.
Deleuze si appropria di queste tematiche elaborandole in senso vitalistico‑energetico, secondo i dettami di un pensiero affermativo della differenza già delineato nel suo studio su Nietzsche e nelle successive opere teoriche come l'Anti‑Edipo e Mille piani. Oppo­nendosi al figurativo che soggiace ancora alla logica della rappresen­tazione, Bacon avrebbe conseguito ilfigurale puro, l'epifania effimera dell'accadere, che obbedisce alla logica della sensazione.

Le figure di Bacon infatti non hanno alcuna funzione illustrati­va, documentaria o narrativa, ma esprimono sensazioni, affetti, pulsioni. In una conversazione con David Sylvester, Bacon stabiliva una netta distinzione tra due opzioni estetiche: «La forma illu­strativa rivela immediatamente, tramite l'intelletto, il suo significa­to, mentre la forma non illustrati­va passa prima per la sensazione e solo dopo, lentamente, riporta alla realtà». L'arte deve catturare la realtà nel suo punto di massima concentrazione vitale, restituire l'immagine pfima della sua artico­lazione razionale, colpire diretta­mente il sistema nervoso, solleci­tare l'istintualità schermata dalla civiltà delle buone maniere, libe­rando sensazioni diverse dalla me­ra riproduzione dell'oggetto. Come diceva Valéry: dare la sensazione, ma senza la noia di comunicarla.

Da buon poststrutturalista, De­leuze traduce magistralmente que­sta poetica realista in una rigorosa logica della sensazione che viene articolata su differenti livelli e di­slocata in una pluralità di ordini e campi eterogenei. La logica dei sensi che presiede a tutta la sua opera fa di Bacon ‑ agli occhi di De­leuze ‑ un erede di Cézanne, il qua­le aveva intuito che la sensazione non è il prodotto del libero gioco di luce e colore, come credevano gli impressionisti, ma è il corpo vissu­to, la sua vibrante forma sensibile, il suo carattere patico, e non rap­presentativo. «Dipingere la sensa­zione» diventa la parola d'ordine dell'arte che disdegna il superamento della figurazione nella for­ma astratta.

Le figure di Bacon costituiscono una delle risposte più persuasive ed efficaci alla domanda di Klee: come rendere visibili forze invisi­bili? Cézanne era riuscito a cattu­rare ((la forza di corrugamento del­le montagne, la forza di germina­zione della mela, la forza termica di un paesaggio». Quelle di Bacon sono forze di isolamento, di defor­mazione e di dissipazione che con­vogliano gli effetti entropici della forza del tempo, del soverchiante lavoro della morte. Le teste, più che i volti, di Bacon sono esposte alle forze di pressione, dilatazione, contrazione e stiramento e genera­no grida, spasmi, cadute, mutila­zioni, immedicabili sofferenze.

A questo proposito, Deleuze cita ‑ oltre a Kafka e Artaud ‑ l'opera di Beckett, la cui affinità nichilista con Bacon è documentata nel bril­lante saggio di Nadia Fusini: B e B. Beckett e Bacon (Garzanti). Altri, come John Russell (nella monogra­fia edita da Thames and Hudson), richiamano Pascal e l'immagine dell'uomo incapace di convivere con la propria solitudine; altri an­cora, come Ernst van Aiphen nel saggio: Francis Bacon and the Loss of Self (Reaktion Book), chiamano in causa Barthes, Derrida e il pen­siero postmoderno che opera la de­costruzione del soggetto.
Il grande psicanalista francese Didier Anzieu nel saggio Francis Bacon ou le portrait de l'homme désespécé (L'Aire / Archimbaud), rimprovera a Deleuze di aver inde­bitamente convertito la psicologia della sensazione in una logica ra­zionalista e propone, a sua volta, di inserire Bacon in un più generale progetto di rinnovamento dell'em­pirismo inglese che ricondurrebbe l'astrazione all'esperienza, la com­plessità alle unità elementari, le relazioni formali alle qualità sensi­bili. Per l'artista e il filosofo empi­rista la sensazione è l'irruzione dell'impensato che affascina e at­terrisce lo spirito, lo smarrimento di fronte alla brutalità del reale.

Questo nuovo senso dell'espe­rienza estetica, cioè del nostro es­sere‑sensibile‑nel‑mondo, ci resti­tuisce l'immagine di un uomo alie­nato, sradicato, privo di identità, orfano di qualsiasi rassicurante at­tributo. Sembra così che Bacon, co­me già era accaduto con Giacomet­ti, corra qualche rischio di essere considerato l'emblema di una con­cezione del mondo o il testimone privilegiato di una condizione esi­stenziale disperatamente vitale: «La nostra natura di base ‑ affer­mava l'artista ‑ può essere total­mente disperata, ma il nostro si­stema nervoso è di fibra ottimi­sta». Rispetto a questi tentativi di cooptazione, il libro di Deleuze ‑così cartesianamente analitico ‑costituisce un ottimo antidoto.

Del resto, lo stesso Bacon sem­bra prestarsi a qualche operazione filosofica, quando sostiene, ad esempio, che «la vera, grande arte rimanda sempre alla vulnerabilità della condizione umana» o che l'uomo è «un essere puramente contingente, perfettamente futile, costretto a un gioco estremo e sen­za senso». Bacon amava anche ri­petere che «tutto proviene da Nie­tzsche» e, in effetti, la sua opera ci appare oggi come una fenomenolo­gia dell'ultimo uomo.