“Non vi fate sedurre: / non esiste ritorno.
/ Il giorno sta alle porte,
/ già è qui vento di notte,
/ altro mattino non verrà”. Per quanto,
ormai, qualcosa in più del mero computo di un secolo segni la nostra
distanza da esso, il monito di Brecht insiste tenacemente
nell’interpellarci, e nel costringerci ad affrontare ciò che di
seducente si annida nel potere, ciò che di esso ci cattura senza alcuna
costrizione apparente, obbligandoci ad aderire interamente ad esso nel
momento stesso in cui lo si accoglie, in cui si dona ad esso il proprio
credito, in cui ci si dona con fede.
Attraverso un corpo a corpo con le differenti scritture dei teorici del
capitalismo, con i fondatori e i teologi della pratica ascetica, in
dialogo con filosofi come Bataille, Benjamin e Agamben, Elettra Stimilli
ricostruisce con Il debito del vivente. Ascesi e capitalismo
(Quodlibet, Macerata 2011), quella che si potrebbe definire come la
“storia di una seduzione”: la seduzione provata dall’uomo nei confronti
di quel potere che procede dall’affermare il proprio sé, la propria
verità, nella paradossale libertà offerta dal godimento e dal consumo,
elevati così a direttive tanto nel sociale quanto nell’individualità più
intima. Lo stretto legame fra economia, gestione della vita e governo
dei viventi trova qui il proprio perno di articolazione, secondo il
quale affermazione di sé e assoggettamento, condotta di vita e
coercizione, costituiscono gli aspetti di un medesimo movimento di
privatizzazione – e privazione – delle singole vite: “tecnica
privilegiata attraverso cui il soggetto, come tale, si costituisce,
dando forma alla sua vita e rendendosi, al tempo stesso, disponibile per
una modalità di assoggettamento che non la aggredisca all’esterno, ma
miri piuttosto a coincidere capillarmente con essa” (Ivi, 117). Ed è
proprio il suo “spontaneo automatismo” (Ivi, 151), l’adesione volontaria
ad esso, a costituirne l’aspetto inquietante – o forse, ancora meno che
volontaria, semplicemente automatica, inconsapevole, tanto più assoluta
quanto più inapparente e confusa con la fiducia o il credo, il credito
che si concede ad altrui come a se stessi.
Sostenuta dal montaggio di materiali eterogenei raccolti dai diversi
campi della teologia e della storia, della filosofia politica e della
scienza economica, la ricerca di Stimilli è attraversata da una tensione
anacronistica, la sola in grado di insinuarsi nelle “dinamiche in atto
nei modi capitalistici di produzione del nostro tempo, che hanno fatto
dell’indebitamento delle singole vite la condizione del loro stesso
dominio”. Qui, il movimento più spiccatamente genealogico affronta il
contemporaneo attraverso un’interrogazione costante, ostinata, sul
rapporto che questo intrattiene con la natura umana stessa. Se la
maggior parte delle ricerche interessate a cogliere il nesso tra
cristianesimo e economia si sono mostrate in realtà tese a carpire il
fantasma dell’originario, a cogliere nel primo i presupposti necessari
alla nascita della seconda – e, con essa, dell’impero del mercato, della
tirannia del valore dell’utile, quella ricerca dell’utile elevata a
valore –, Stimilli recupera meticolosamente non tanto l’originario,
bensì l’irrisolto, ciò che di impensato permane e infesta il
contemporaneo. E così, tanto i mutamenti dei dogmi cristiani relativi
alla grazia, al libero arbitrio, alla lotta fra la carne e lo spirito,
quanto il rapporto tra indebitamento e accumulazione o la celebrazione
del culto del mercato, si dimostrano altrettanti tentativi di “trovare
una forma stabile di dominio per ciò che nell’uomo è, come tale,
indomabile” (Ivi, 132). E questo indomabile, questo indisponibile
attorno al quale il capitalismo dispone incessantemente le proprie forze
(il debito, la colpa), è niente meno che, secondo Stimilli, “una
mancanza per eccesso costitutiva dell’essere umano che, come tale, viene
riprodotta e, al tempo stesso, neutralizzata” (Ivi, 27).
Non più una presa sui corpi, non più – o non solamente – la facciata
violenta della repressione e dell’autorità, bensì la cattura,
all’interno della macchina economico-politica, della natura umana in
quanto tale. Se il termine biopolitica (concetto foucaultiano dal quale
Stimilli prende le mosse per portare al linguaggio l’inquietudine del
contemporaneo) possiede ancora una qualche intensità, questa è da
ricercare laddove i singoli uomini si scontrano con tutti quei
dispositivi che, lungi dall’interessare esclusivamente la mera vita
biologica, si prodigano incessantemente per donare a ogni individuo la
possibilità di formare e valorizzare la propria vita. Letteralmente
fondamentali, in tal senso, risultano le tecniche cristiane di ascesi
quali modalità privilegiate per accogliere il disegno divino,
l’oikonomia, elevata pertanto a principio direttivo della vita stessa.
Ascesi, del resto, non dissimile da quelle forme di esercizi di dominio e
imprenditoria del sé riassumibili sotto lo slogan “I am what I am”,
chiave di volta della capitalizzazione ipermoderna, attraverso la quale
sono le singole vite, secondo un movimento di accumulazione continua, ad
essere investite del valore imposto dall’economia.
Interrompere questo movimento diventato ormai frenetico, e spezzare il
legame che unisce vita e debito nell’essere-in-debito, riattivando così
una forma di agire senza scopo che sfugga alle maglie della macchina
economico-politica, è il compito a cui chiama la scrittura di Stimilli.
Gesto filosofico e politico a un tempo, “conversione che sconvolge la
vita intera, che cambia l’essere di chi la compie” (Ivi, 111). Che sia
questo il primo gesto di conversione, di interruzione della
capitalizzazione? Del resto, non fu forse lo stesso Bataille, con la
negatività senza impiego della sua vita, a testimoniare come la vera
dépense non fosse altro che la scrittura, la filosofia?