Innella città di Lucca, innella contrada di San Cristofano, fu uno
pilicciaio, omo materiale e grosso di pasta in tutti i suoi fatti,
nomato Ganfo». Comincia così un´esilarante novella, De simplicitate.
Ganfo il pellicciaio, pubblicata nel Novelliere del lucchesse Giovanni
Sercambi, scritto tra il XIV e il XV secolo ma pubblicato solo nell´800.
Oggi, grazie a Novelle stralunate dopo Boccaccio. Riscritte
nell´italiano di oggi (Quodlibet), una nuova versione ne sa confermare
la forza narrativa, e inizia così: «V´era un tempo nella città di Lucca,
e nella contrada di San Cristofano, un pellicciaio di nome Ganfo. Era
costui un uomo di mente grezza e sempliciotto in tutto quanto facesse». È
una riscrittura (non una "traduzione") di Gianni Celati, che con
Ermanno Cavazzoni, Ugo Cornia, Daniele Benati, Nicola Bonazzi, Ivan
Levrini, Giovanni Maccari, Simona Mambrini, Nunzia Palmieri, Giovanni
Previdi e Jean Talon ha partecipato al progetto di Elisabetta Menetti, curatrice del volume.
In fondo, le novelle si sono sempre diffuse di voce in voce, e di
scrittura in riscrittura. Come quella del Grasso legnaiuolo: la beffa di
Filippo Brunelleschi al bravo ma semplice intarsiatore, qui riscritta
da Benati dalla versione di Antonio Manetti del 1480. Dopo Boccaccio,
infatti, molti sono gli autori di novelle, come il bolognese Giovanni
Sabadino degli Arienti (1445-1510) o il modenese Francesco Maria Molza
(1489-1544), o come i più noti Matteo Bandello (1484-1561) o Franco
Sacchetti (1332-1400).
Raccontano fantasie, vizi e virtù umani, entrando in ambienti noti,
familiari, come case, chiese, palazzi, monasteri, mescolando personaggi
reali e inventati, creando (o riportando?) storie, con morali più o meno
esplicite, specie nel caso di racconti esemplari. Non solo beffe,
dunque, come spiegato nel saggio finale della Menetti, che descrive il
percorso letterario e culturale vissuto dal genere tra Medioevo e
Rinascimento, e il contesto in cui la tradizione ha successo, tra serio e
comico, fantastico e grottesco.
Le novelle sono per lo più in volgare, ma anche in latino, come quelle
di Girolamo Morlini, presente con quattro testi in questa antologia. In
questo caso è davvero un lavoro di "traduzione", compiuto da Cavazzoni.
Queste trascrizioni sono dunque una nuova vita, un assaggio piacevole
per incuriosire i lettori d´oggi. Le novelle diventano testimoni
raccolti da autori dei nostri giorni, che si fanno tramite e, come
Celati, ricordano di riportare voce d´altri: «Ganfo raccontò loro la
storia del bagno e della croce perduta, come narra Giovanni Sercambi».