La crisi che attraversa nella contemporaneità tutto l’Occidente, dagli
Stati Uniti all’Europa e che rischia di devastare paesi più deboli quali
l’Italia e la Grecia, impone una meditazione di largo respiro. Proprio
in questi giorni ho letto pagine veramente convincenti in proposito in
uno scritto di una giovane studiosa, Elettra Stimilli, che titola in
maniera significativa e, nel contempo, provocatoria, la sua ricerca, “Il
debito del vivente. Ascesi e capitalismo”, (Quodlibet, Macerata, 2011).
Questo studio attraverso la mediazione delle fondamentali ricerche di
M. Hudson, “Super Imperialism. The Origin and Fundamentals of U.S.
World Dominance”, London, Pluto Press, 2003, arriva a conclusion
largamente condivisibili. Quando il testo ricordato recita: “…la finanza
non è solo consustanziale alla produzione di beni e servizi, e quindi
al mondo del lavoro in senso classico; attraverso il massiccio
dirottamento del risparmio delle economie domestiche sui titoli
azionari, si è piuttosto operata la piena sussunzione della vita di
ognuno al mondo finanziario, che è precisamente ciò che ha reso
possibile la conseguente trasfigurazione dell’indebitamento privato a
motore dell’economia mondiale”. (p. 78), finisce col delineare una
prospettiva storico – teorica che ‘Inschibboleth’ ha già portato avanti
da alcuni anni e che oggi viene ampiamente riconosciuta dagli
opinionisti e dai filosofi politici contemporanei più accreditati (si
legga in proposito un saggio molto perspicuo di Roberto Esposito, uscito
su ‘La Repubblica’ nel corso dell’estate).
Quello che ormai sta diventando sempre più evidente e che sta
espropriando non solo la vita delle democrazie liberali –
rappresentative dell’Occidente ma la vita di ciascuno di noi sta nella
radicalizzazione operata dal super capitalismo finanziario; con i
termini stessi del volume prima ricordato di Elettra Stimilli: “…gli
azzardi del capitale non sono più stati separati nella forma del rischio
imprenditoriale per l’innovazione, bensì, individualizzati, hanno
coinciso con gli stessi rischi dei risparmiatori. La finanziarizzazione
è, così, entrata propriamente nella vita di ognuno. E questo non solo
nella forma del risparmio, del reddito futuro e della pensione; ma,
quanto più si è acuita la sussunzione della vita alla finanza, tanto più
la trasformazione dei rapporti sociali ha teso a favorire la
concentrazione del rischio finanziario tra i più deboli, persino tra
quelli che i risparmi non c’è l’hanno proprio. Che il rischio
finanziario venga concentrato nelle fasce più povere della popolazione, è
segno del fatto che la finanziarizzazione dell’economia funziona
proprio sulla base dell’inclusione della stessa vita nella creazione del
valore. Si tratta di un modello fortemente instabile, che si nutre
della sua stessa instabilità”. (p. 79).
Sono affermazioni che si possono sottoscrivere completamente e che, dopo
la fase della salvezza e della ricostruzione nazionale, non potranno
non porre il problema del modello di sviluppo da costruire nel futuro e
da rendere immune da tale costitutiva “instabilità”.