Recensioni / La poesia della moda secondo Patrizia Cavalli

In futuro - forse - alcuni testi letterari prospereranno sugli abiti e sugli accessori, versi alessandrini incastonati nell' interno di un gioiello, lungo la sgambata di uno stivale, o nelle istruzioni per il lavaggio di un capo particolarmente delicato. Il dialogo tra la moda e la letteratura è invece nella realtà attuale abbastanza disastrato e marginale, e purtroppo nessuno degli stilisti mecenati ha ancora fatto ciò che sarebbe meraviglioso facesse - pubblicare la più bella rivista del mondo, in tre lingue, come le grandi Commerce e Botteghe Oscure che Marguerite Caetani mandava alle stampe negli anni Trenta e Cinquanta, con un'idea viva e internazionale di cultura (che coinvolse anche Giorgio Bassani), scoprendo i migliori autori italiani e stranieri del tempo, ponendoli soprattutto sul medesimo piano. Un piano tutt'altro che tristo e sfortunato, lo sappiamo bene - perché a differenza della Morte dell'operetta di Leopardi - «conosciamo la potenza della Moda». E la conosce Patrizia Cavalli, poetessa italiana contemporanea, definita da Giorgio Agamben in un saggio di qualche anno fa come titolare di una «sapienza prosodica stupefacente». È facile riconoscerla anche in Flighty Matters, un ampio e sottilissimo album bianco firmato Quodlibet in un' edizione sostenuta dalla Deste Foundation for Contemporary Art, istituzione greca ( sic, Quodlibet!) che da diverse stagioni chiede ad artisti e autori di confrontarsi con il cosmo abbigliato. Dopo il fotografo Juergen Teller, i graphic designers parigini M/M, lo stilista Helmut Lang, il compito di "cantare la moda" è toccato a Patrizia Cavalli, che ha scritto per l'occasione sei testi in poesia e in prosa, accompagnati da diciotto tavole che riproducono disegni e collage. Nei quali giustappone la calligrafia dei versi e di appunti appena presi a immagini di sfilate di Viktor & Rolf, giacchette avanguardiste e cappelli da donna che farebbero credere a un vecchio cardinale di assomigliare alla salita del Guggenheim di New York. C'è anche un breve racconto intitolato Dancing Shoes, ispirato a un paio di calzature di Issey Miyake, cromatiche e medievali, quasi estremità di un paggio di corte. Patrizia Cavalli racconta come sono diventate le scarpe per "occasioni speciali", che "a vederle sembrano nuove", e narra una vicenda di fraintendimento, errore e privilegio accaduta in un negozio di New York - un dono, un commesso impreciso, un oggetto doppio che «fa muovere i piedi a festa» e definisce lo spazio tra chi l'ha regalatoe chi l'ha ricevuto. «D'altrondeè dell'umano il lusso del superfluo», sancisce in chiusura del volume la sua voce.