Recensioni / Francis Bacon. La mano al servizio della commozione

IL PITTORE DELLE FORZE, questo è Francis Bacon per Gilles Deleuze. La sua pittura è in­fatti la manifestazione delle for­ze invisibili che operano sulle fi­gure: le forze d'isolamento, le forze di deformazione ‑ è per queste che Bacon è noto ai più‑, le forze di dissipazione, le forze di accoppiamento, e altre anco­ra. Per quanto il pittore si consi­deri un «polverizzatore» e un «frantumatore» ‑ come si defi­nisce nella splendida conversa­zione con David Sylvester, (La brutalità delle cose ,tr.it. di Na­dia Fusini, Fondo Pier Paolo Pa­solini, 1991) ‑ egli agisce piutto­sto come un rivelatore, e come tale lo tratta il filosofo.


Pittura fuor di cliché
Per Deleuze, Bacon è la dimostra­zione che è possibile una pittura che sfugga al figurativo, cioè all'il­lustrativo. e al narrativo; in altre parole, è la prova che è si può pra­ticare una pittura che non deriva da alcun cliché. Ma come è possi­bile dipingere «qualcosa» senza cadere nel­l'illustrazione del soggetto che si dipinge? Come si più trasporre sulla tela ciò che si vede, così come lo si vede? Questo è esatta­mente il tema del libro di Deleuze Francis Bacon. La logica della sensazione (tr.it. di Stefano Verdicchio, Quodlibet, pp.241, lire 46.000).

La «sensazione» è dunque il problema centrale di questo scritto dedicato a uno dei pittori più conosciuti e osannati degli ulti­mi decenni, un pittore che tuttavia è conti­nuamente frainteso proprio a causa di quel­l'idea di figurazione che ancora domina sia nel senso comune come nella critica d'arte, e per la quale ciò che si vede nel quadro ‑ ad esempio, l'immagine deformata di un uomo che urla ‑ non sarebbe nient'altro che l'illustrazione della realtà dell'angoscia o del dolore provata da qualcuno.


Quel che viene dal corpo
Per sottrarre l'arte moderna alla figurazio­ne, scrive il filosofo, c'è voluta la pittura astratta, e tuttavia non «vi è però un'altra via, più diretta e sensibile» per ottenere il medesimo risultato? Questa è la strada di Bacon: la sensazione. La sensazione è esat­tamente ciò che «agisce direttamente sul si­stema nervoso, che è fatto di carne»; è l'«u­nità del senziente col sentito»; è ciò che il corpo dà e riceve, il corpo che è insieme og­getto e soggetto del quadro: «Io, spettatore, non provo la sensazione se non entrando nel quadro, accedendo all'unità del sen­ziente e del sentito». Questo è Bacon: colui che dipinge l'esser corposo di un corpo (D.H. Lawrence, a proposito delle mele di Cézanne, il primo autentico pittore della sensazione , ha parlato dell'«essere mele­sco di una mela»).

In nessun libro di un filosofo contempo­raneo, fatta eccezione per alcune pagine di Merleau‑Ponty, la pittura, o meglio, l'atto di dipingere, è analizzato con tanta pene­trazione come da Deleuze, così dall'inter­no; tanto che nei capitoli finali il filosofo diventa pittore, dà forma con le parole alla materia stessa del dipingere.


Nella tela
Abbandonando di colpo il discorso su Ba­con, Deleuze si addentra nel dipingere me­desimo, partendo dalla «pittura prima di dipingere» ‑ come s'intitola un capitolo ‑ là dove «il pittore stesso deve entrare nella tela prima di cominciare». La que­stione che si pone è quella della biforcazione che conduce oltre la figurazione. Da un lato c'è la via percorsa dall'astrattismo, dalla pittura più spirituale di questo se­colo ‑ «l'articolo di fede», la defi­nisce john Berger in un lucido e impietoso capitolo di Del guarda­re (Sestante, 1995) dedicato al de StijI, di cui stigmatizza il tentati­vo di soffocare la soggettività a vantaggio di una fede cieca nel de­terminismo sociale ed economico  per il quale «le forme apparten­gono a un nuovo spazio puramen­te ottico, che non dovrebbe nep­pure più subordinare a sé degli elementi manuali o tattili»; dal­l'altra c'è la strada dell'espressionismo astratto o arte informale, che invece «subordina l'occhio alla mano, impone la mano all'occhio, sostituisce all'orizzonte il suolo»; l'Action Painting, scrive Deleuze, dispiega al massimo grado l'abisso e il caos e realizza una pittura in cui non c'è più né concavo né convesso, né esterno né inter­no.

L'astrattismo esibisce uno spazio del tutto ottico, quello proprio dell'uomo mo­derno, mentre l'arte informale rende impe­netrabile la tela e nel suo spazio manuale fa violenza all'occhio, che lì non troverà mai riposo. La pittura di Bacon si presenta co­me la possibile terza via; egli è colui che ri­prende la lezione di Cézanne e sperimenta coi suoi corpi macellati, con il tondo dei la­vandini, con le porte e i corpi avvinti nella copula su letti disfatti, una pittura che non è «né ottica come la pittura astrat­ta, né manuale come l'Actionpainting». Ma cosa sarà mai un'arte simile?

Per Nadia Fusini, che ha scritto di recente un breve ma intenso volume, B&B. Beckett & Bacon (Garzanti 1994, pp.123, lire 18.000), la concezione drammati­ca della pittura di Bacon consiste­rebbe in questo: «egli sempre ram­memora all'occhio che c'è schisi tra l'occhio e lo sguardo. Viviamo in realtà mutilati nell'occhio. L'occhio non fa altra esperienza che della scissione tra il visibile e l'invisibile; ci mostra il recta del mondo. Ma l'invisibile, l'altro la­to, il verso, non ne sapremo mai nulla».


Nulla da rappresentare
Per rispondere a questo interroga­tivo, l'autrice parla di una pittura effettuata sul rovescio della tela, sul verso, di una pittura che non raffigura qualcosa, il mondo, il di fuori; i quadri di questo artista non raffigurano proprio nulla, poiché il pittore non ha un rap­porto fisico‑ottico col mondo; ri­prendendo un'intuizione di De­leuze, la Fusini vede Bacon come colui che fa andare la mano sul quadro: «La mano corre alla tela perché il pittore è intimamente toccato, mosso, commosso da un corpo, da un volto... Tutto ciò che dipinge è in risposta a questo stimolo, la mano niente altro che lo strumento al servizio della commozione». Questo è esattamente la «sensazione» di cui parla Deleuze, e questo è anche il «realismo» di Bacon: «i suoi quadri sono come le altre creature esposti alle stesse vi­cissitudini dell'esistenza».
II discorso sulla logica della sensazione di Deleuze approda alla definizione della pittura di Bacon quale pittura aptica, cioè che «tocca». La parola, di origine greca, in­dica una «possibilità dello sguardo», un ti­po di visione distinta da quella puramente ottica, per cui, «nella zona spaziale conti­gua, lo sguardo, avanzando come il tatto, prova nello stesso luogo la presenza della forma e del fondo».


Una nuova chiarezza
Nelle pagine finali del saggio le due grandi definizioni della pittu­ra, da secoli separate ‑ quella del­la linea e del colore, legata all'oc­chio, e quella del tratto e della macchia, legata alla mano ‑ap­paiono di colpo unificate nella vi­sione di una nuova chiarezza.

La carne macellata, i larghi dor­si umani, le posture dei corpi, le contrazioni e le dilatazioni dei trittici di Bacon appaiono ispirati all'arte di Michelangelo, al suo manierismo, in cui il puro e sem­plice fatto pittorico viene alla luce allo stato puro e non ha altra giu­stificazione che una «policromia acre e stridente, striata di luccichii come una lama di coltello.