È il 1971: su proposta di Italo Calvino - che aveva letto il testo
pubblicato su una rivista - Einaudi pubblica Comiche dell’esordiente
Gianni Celati. L’autore viene dallo studio della scrittura manicomiale,
della commedia e del riso, della comicità melancolica (senza dimenticare
il binario oralità/scrittura). Ha digerito Rabelais e il Chisciotte, e
porta questo bagaglio nel sodalizio con Calvino. Da quell’anno, però,
il libro non viene più ristampato, mentre la carriera einaudiana di
Celati prosegue con Le avventure di Guizzardi, La banda dei sospiri e Lunario del paradiso (e con i saggi di Finzioni occidentali.
Fabulazione, comicità e scrittura).
In questi giorni, grazie a Quodlibet, Comiche torna in libreria con la
sua lingua presa in prestito da un anziano ricoverato in manicomio:
Otero Aloysio, insegnante, che tiene un diario in cui annota le
persecuzioni – sotto dettatura di voci notturne – da parte di tre
maestri elementari risoluti a fargli sposare la direttrice Lavinia
Ricci. Satisfiction anticipa alcune pagine del romanzo, percorso dal
soffio mercuriale della follia e, anche – ricorrendo allo stesso Celati
di Finzioni occidentali – ”un tentativo di abbandono sistematico del
razionalismo, dei suoi luoghi comuni, del suo delirio di
consapevolezza”.