Recensioni / Benvenute crisi: finalmente l'uomo tornerà "vivo" Dal kaos al kosmos, tagliamo lo spread delle idee

Il debito delle società non è solo finanziario, a nelle anime.

Lasciamo che la crisi e le crisi facciano spurgare le tossine di società e governi, solo così sarà possibile ripartire, ripulire le anime dai detriti che le inquinano e tentare di riportare la barra dal kaos al kosmos. Un dato diffuso e ampiamente metabolizzato nella liquida postmodernità è quello relativo al fatto che la rinuncia ad alcune delle libertà individuali per la conservazione della vita vada valutata come all’origine della costituzione dello stato nazionale attuale. Infatti si ricercava e si trova¬va nella società moderna una sorta di moneta-premio, a compensazione della cosiddetta repressione subita. Uno status che oggi sembra non rispondere più a esigenze ed aspettative: non rientrano più come ammoniva Freud all’interno delle rinunce, ma al contrario le criticità sociali derivano dall’eccessivo appagamento. Uno spunto che è viene approfondito ne Il debito del vivente di Elettra Stimilli (ed. Quodlibet) in cui si fa riferimento all’espressione usata da Jacques Lagan a proposito del «discorso del capitalista». Ovvero ragionare in quel recinto globalizzante e a latitudini sociali estremamente diffuse all’interno del quale il potere ha assunto le sembianze e le fattezze dell’economia. E solo di quella, senza altro spazio, ad esempio, per quel fattore umano a cui in molti, solo oggi, si ricordano di fare nuovamente riferimento. Il pamphlet sottolinea che il presup¬posto dell’accumulazione del profitto oggi non è più individuabile nella rinuncia di un qualcosa, ma nella spinta compulsiva al godimento, al consumo senza limiti, all’esasperazione dell’avere incondizionato, alla sfrontatezza del chiedere più che del dare.
Atteggimenti, in serie, che non rappresentano solo la causa dell’impoverimento del singolo individuo, causando¬ne deficienze, insofferenze sociali (come le miriadi di casi di anoressia, bulimia, crisi di panico, insicurezze, depressioni), bensì minano anche il tessuto terrestre dove l’uomo vive e si riproduce. Con i danni ambientali noti, con il binomio spreco-inquinamento che si staglia, minaccioso, con altrettanta gravità sulla società.
È dunque questo, senza timori e tentennamenti, il momento in cui guardarsi in faccia e annullare rendite di posizioni mentali di ieri, che oggi non servono a nulla se non a ritardare quel rinasci¬mento dei costumi, dei pensieri e delle esistenza senza il quale la figura umana non avrà un domani.
Perché qui non è in gioco soltanto il nodo ancestrale del potere, o dei governi, o dei circuiti di supremazia economica, come ad esempio gli spunti di Foucault ci hanno insegnato fino ad oggi. Ma si sta giocando una partita diversa che riguarda il posizionamento dell’uomo nello scacchiera attuale e soprattutto futuro. L’uomo insomma deve decidere, e alla svelta, che ruolo intende svolgere di qui fino alla caratterizzazione del dopo post-modernità. In molti per la verità stanno lanciando l’allarme, relativamente a luoghi di aggregazione, allo strumento dei social network, alla comprensione baumaniana di come senza condivisione non ci sarà futuro per nessuno, né uomo, né conio, né animale, né oggetto. Per questo si rende imprescindibile aprire un’analisi seria e franca sulla rivalutazione del percorso umano, su carni e su ossa che si muovono dopo un pensiero. E non che eseguono meccanicamente gli ordini del pifferaio di turno, fino a cadere dal precipizio del nulla.

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