Recensioni / Gentili e Giordano Bruno, il dilogo nel libro di Mignini

Fu, ormai quattro anni fa, nell’estate del 2008, uno di quei veri eventi che, nascosti nelle pieghe dei titoli maggiori del festival d’opera, corrono sempre il rischio di passare sottotono. Ora, invece, il dialogo filosofico “Per aver troppo amato il mondo” di Filippo Mignini – racconto in forma teatrale dell’incontro tra il giurista Alberico Gentili e il filosofo Giordano Bruno – diventa testimonianza concreta, e non più solo processo della memoria di chi assistette alla lettura scenica, grazie alla pubblicazione del testo, a cura dell’editore Quodlibet (pp. 120, euro 12.50).
La storia di “Per aver troppo amato il mondo” è universale nei contenuti, ma anche molto maceratese per i protagonisti che ne sono coinvolti, sia le figure storiche, sia quelle contemporanee. Il testo, infatti, nacque per lo Sferisterio Opera Festival 2008, diretto da Pier Luigi Pizzi. Il quale accettò di buon grado di celebrare una delle figure più importanti e straordinarie del nostro territorio: Alberico Gentili, nato a San Ginesio nel 1552 e morto a Londra nel 1608, dopo aver dato alle stampe alcuni studi su cui, ancora oggi, si basano i principi fondamentali del diritto, in particolare quello internazionale. La lettura scenica (il 25 luglio 2008 al cineteatro Italia, con replica a San Ginesio il giorno successivo) fu curata da Alberto Terrani e vide protagonisti gli attori Luca Bastianello e Giovanni Franzoni, con le sottolineature musicali del m° Marco Mencoboni. La proposta di illuminare la sapienza di Gentili in forma teatrale arrivò a Pizzi da Filippo Mignini, docente di Storia della filosofia all’Università di Macerata, al quale si devono fondamentali processi di riscoperta di altri personaggi locali per origine, oltre a questo grande ginesino, e cioè Matteo Ricci e Romolo Murri. Adesso, la pubblicazione di Quodlibet, che è una casa editrice nata e con sede a Macerata, chiude il cerchio.
Nel testo, ambientato nel primo atto tra il 1583 e il 1585, Mignini fa incontrare e dialogare a Londra, dove sono esuli entrambi per motivi religiosi, protetti dalla regina Elisabetta I e dal poeta e diplomatico Philip Sidney, Alberico Gentili e Giordano Bruno. Il dialogo è ricostruito sulla libera utilizzazione delle loro opere e rappresenta parte della lunga discussione che ebbero su filosofia e religione, diritto e politica, violenza e sue cause. Nel secondo atto, più avanti nel tempo, Gentili discute dei primi segni del collasso del grande universo elisabettiano – il mondo, tra gli altri, di Shakespeare e Marlowe – con altri e diversi interlocutori, l’amico Tobias Matthew e il Conte di Essex.