Recensioni / L'outsider Celati rispolvera " Comiche"

Il volume proposto da Calvino nell’esordio targato Einaudi del ’71 viene recuperato da Quodlibet. Un’opera unica e non catalogabile che prende spunto dalla passione per i film alla Stanlio e Ollio

Ci sono parole, diceva giustamente Paul Valéry, che l’uso eccessivo e spesso fuori luogo ha ormai svuotato di ogni significato, rendendole simili a gusci vuoti che si possono riempire a piacimento. Una di queste è senza dubbio "outsider" che, in ambito culturale, viene utilizzata per definire tutto e il suo contrario con il risultato che, con "outsider", in realtà non si dice un bel niente. Dire, quindi, che Gianni Celati, oggi settantacinquenne, è stato il più grande "outsider" della letteratura italiana di questi ultimi quarant’anni è non solo riduttivo ma anche sostanzialmente sbagliato, perché in questo modo si rinchiude la sua opera in una formula che ne snatura il più autentico significato.


Sensibilità lombardo-emiliana
L’opera letteraria di Celati annovera titoli come "Quattro novelle sulle apparenze", "Narratori delle pianure", "Verso la foce" e "Cinema naturale", solo per citarne alcuni, ed esprime una sensibilità definibile "lombardoemiliana": una sensibilità fatta di svagatezze, vuoti dell’anima, nebbiose linee d’ombra, tutta tesa al recupero dell’autentico senso del narrare contrapposto a tutte le messinscene d’autore, i trucchetti narrativi, gli impoverimenti linguistici e le ubriacature pubblicitarie che ormai anche in letteratura sono il pane quotidiano. Più che di outsider, nel caso specifico di Celati è possibile forseparlare di un personaggio non classificabile e quindi scomodo, perché la sua opera nel suo complesso propone un approccio ai dati del reale che mina alla base non solo le false e ipocrite certezze tecnologiche, ma anche quelle umanistiche, dove c’è sempre un "io" che regola la realtà e la mette in ordine. Tutti gli scritti di Celati si muovono in questa direzione, del tutto opposta a quella della cosiddetta cultura ufficiale.


Dentro la zona grigia
Ma c’è uno scritto che più di ogni altro si spinge nella zona grigia dove non è più possibile distinguere tra la presunta realtà reale e la realtà frantumata, deformata e poi riscritta in virtù di quelli che Leopardi (autore non a caso amatissimo da Celati) definiva stati d’affezione. Si tratta dell’ormai mitico romanzo d’esordio di Celati, "Comiche", uscito nel lontano 1971 da Einaudi su proposta di Italo Calvino, che ne aveva firmato anche la postfazione, ma poi non più ripubblicato. "Comiche" (216 pagine, 15 euro) torna oggi, dopo una lunga attesa, nella collana Compagnia Extra di Quodlibet, in un’edizione a cura di Nunzia Palmieri che comprende anche alcuni passi della riscrittura alla quale Celati si dedicò tra il 1972 e il 1973. Opera assolutamente unica e ancora oggi non catalogabile, "Comiche" prende spunto dalla passione del giovane Celati per i slapstick movies (i film comici del genere dei Fratelli Marx, di Buster Keaton e di Laurel & Hardy) e soprattutto da alcune scritture manicomiali che lo stesso Celati in quegli anni aveva letto e studiato a fondo, utilizzando i documenti messigli a disposizione da un amico psichiatra che lavorava all’ospedale di Pesaro. L’influenza degli slapstick movies si nota soprattutto sul piano dello stile, con continui e improvvisi cambi di scena e situazioni che quasi sempre si concludono nella bagarre, con invenzioni lessicali e costrutti sintattici che infrangono volutamente tutte le regole della logica e del bello scrivere.


La «verbigerazione»
Le scritture manicomiali caratterizzano invece il contenuto dell’opera, che in sostanza è una lunga farneticazione («verbigerazione», scrive Celati) di un "io" narrante, Oteryo Aloisio, che in una scuola non meglio definita di un luogo anch’esso non meglio definito mette per iscritto tutte le persecuzioni subite e chiama in scena di volta in volta personaggi tanto assurdi e improbabili quanto incredibilmente reali: la direttrice scolastica Lavinia Ricci, i maestri Bevilacqua, Mazzitelli e Macchia, che tormentano il povero Aloisio e lo vogliano unire in matrimonio con la suddetta direttrice, e poi il fantasma notturno Fantini, che vuole entrare nel diario di Aloisio per essere cancellato, un tale Biagini che sostiene di essere un’autorità politica, la signorina Virginia che spinge la carrozzella del paralitico Bertelemì, e molti altri ancora, in una sabba infernale e insieme normalissimo dove tutti vogliono correggere tutti, tutti correggono tutti, e tutto va sempre peggio. La grande intuizione di Celati è proprio questa: la capacità, come scrisse a suo tempo Italo Calvino, di descrivere "l’ossessione di un mondo dove tutti giocano a correggerti". Ecco perché un libro come "Comiche" continua più che mai a parlare alla nostra sensibilità: quarant’anni dopo, infatti, quell’ossessione sembra diventata la regola di una realtà sempre più comicamente e drammaticamente simile a un slapstick movie.