Recensioni / Quando la vita salva la filosofia

Simmel riscoprì Goethe per contrastare il pensiero puro

S ono molte le ragioni che avrebbero dovuto, e dovrebbero ancora, garantire a Georg Simmel (Berlino 1858-Strasburgo 1918), un' alta e indiscussa considerazione universale. Simmel è stato, senza contestazione, il fondatore della sociologia tedesca, in particolare della sociologia della cultura, quale sarebbe stata in seguito praticata da Max Weber e tanti altri. Allontanandosi dalla visione trascendentale della conoscenza di tipo kantiano in favore di un orientamento pragmatico, prospettico e pluralistico, ha elevato al rango della dignità speculativa una varietà di oggetti dell'esperienza abitualmente esclusi dall' interesse filosofico: la metropoli, la donna, la moda, soprattutto il denaro, fenomeno centrale, significativo sia dell' universale relativismo della vita moderna sia di una più generale condizione del mondo, al quale ha dedicato la sua opera forse più originale e rilevante (Filosofia del denaro, Utet, 1984). In ognuno degli ambiti che ha attraversato (filosofia, religione, arte), aveva il dono di estrarre dal minimo particolare l'elemento della riflessione intemporale. Infine è stato il promotore di una «metafisica della vita» e un maestro dello stile frammentario, citato e discusso dalle più cospicue e diverse figure della cultura novecentesca, da Lukács a Benjamin, da Ortega y Gasset a Cioran (e, da noi, Giuseppe Rensi, che nel 1925 tradusse e presentò Il conflitto della civiltà moderna, ripubblicato da SE nel 1999). Eppure la fama di Simmel non è lontanamente paragonabile con quella di altri filosofi o sociologi del Novecento, come Heidegger o anche Adorno. Egli stesso sapeva, e accettava, che sarebbe morto senza eredi spirituali. Lukács osservò che Simmel (di cui, con Ernst Bloch, era stato allievo) rappresenta «il più importante e interessante fenomeno di transizione in tutta la filosofia moderna» e che proprio per essere stato il filosofo dell' impressionismo, incurante della compiutezza sistematica del suo pensiero, non aveva veri e propri discepoli. Ma forse, più ancora dell' intelligente quanto ambiguo elogio di Lukács, illumina questa osservazione di carattere generale fatta una volta da C. S. Peirce: «È solo quando un filosofo ha qualcosa di banale da dire che cerca il grande pubblico o il grande pubblico cerca lui». In Italia è stato soprattutto per iniziativa di piccole o marginali case editrici se molti scritti di Simmel sono stati tradotti nel corso degli ultimi decenni. Recentemente Massimo Cacciari ha riedito la scelta delle limpide e suggestive pagine aforistiche del Diario postumo (Aragno, 2011) che aveva meritoriamente pubblicato per la Liviana di Padova già nel 1970. Esce adesso, tradotto e presentato per la prima volta in italiano da Michele Gardini, in un' edizione anche filologicamente accurata, il saggio su Goethe (Quodlibet, pp. 288, 28). Esso risale al 1913, ma era stato preceduto, nel 1906, da un breve scritto, che si connette strettamente con questo e che dimostra quanto Goethe fosse importante per lui (Kant e Goethe, tradotto da Ibis edizioni, 2008): tra le figure che hanno sollecitato l' interesse filosofico di Simmel (Michelangelo, Rembrandt, Kant, Stefan George, Rodin), quella di Goethe spicca infatti per un rilievo assoluto. Non si tratta naturalmente di una monografia di stampo tradizionale, dedicata all' illustrazione della vita e dell' opera di Goethe, ma di un denso e serrato saggio sull' immagine spirituale dell' una e dell' altra in senso generale, perseguìta attraverso una formidabile conoscenza delle fonti e un' analisi non meno compatta che minutamente articolata. Il problema dal quale anche Simmel muove è quello del secolare dualismo metafisico che separa e contrappone soggetto e oggetto, forma e idea, realtà e valore. È la caratteristica non solo del pensiero occidentale, da Platone al Cristianesimo, ma di ogni concezione (compresa quella indiana) che ponga il senso e il fine della vita al di fuori della vita stessa. Ora Goethe è colui che, giungendo al punto di dichiarare: «È manifesto che, nella vita, ciò che conta è la vita, e non un suo risultato», ha saputo in virtù di una prodigiosa disposizione artistica riunire gli elementi separati dell' esperienza e ricreare in sé l' immagine dell' unità organica del mondo. È da questo centro, dominato dall' attività della natura come essenza del reale e dalla creazione estetica come sua articolazione, che si irradiano le caratteristiche dell' agire e del pensare goethiano: la diffidenza o la ripugnanza verso la teoresi filosofica («Il pensiero non è mai stato l' oggetto del mio pensiero»), il procedimento intuitivo e sintetico della conoscenza come funzione organica della vita, la condanna dello spirito analitico, il disprezzo dell' effetto e il godimento della bellezza in sé, la convinzione dell' intrascendibilità dei fenomeni («Non si cerchi dietro i fenomeni: essi stessi sono la dottrina») e dell' impossibilità di distinguervi l' interno dall' esterno, la celebrazione dell' universalmente umano, il carattere simbolico della sua opera («La mia opera è un unico essere collettivo, e porta il nome di Goethe»). Può sorprendere che il «relativista» Simmel sia stato tanto attirato da una figura come quella di Goethe, anti-tragica e anti-scettica per eccellenza; nondimeno egli non solo condivide il capitale e rivoluzionario presupposto, comune anche a Schopenhauer e a Nietzsche, che «il fine della vita è la vita stessa», ma anche ammira senza riserve il più grandioso e felice tentativo che forse sia mai stato fatto, nella storia dell' esperienza umana, di «oggettivare il soggetto», di conciliare l' inconciliabile