È un confine osmotico, fertile, caldo, quello che divide e unisce la
città e la campagna. E la vitalità nascosta delle periferie parigine
catturate da Robert Doisneau; è la rarefazione degli scatti di Gabriele
Basilico a Istanbul e a Roma. È quel languore sentimentale di cui
parlava Robert Musil ne L’uomo senza qualità, descrivendo il mutare del
paesaggio dal finestrino di un treno. «Ma è anche terreno di
composizione, laboratorio creativo, magma fecondo», secondo Gilles
Clément, paesaggista di professione e giardiniere per autodefinizione.Il
teorico francese che, nel 2005, con il Manifesto del Terzo paesaggio
(in Italia uscito per Quodlibet), ha ridisegnato i confini tra urbano e
non urbano.
Venerdì 19, Made Expo ospita la quarta edizione di High Green Tech
Symposium, che propone il tema «Next Laudscapes», il paesaggio prossimo,
partendo dall’interazione fra agricoltura e architettura. Monsieur
Clément non ha dubbi: «Questo e possibile solo se si valorizza ogni area
per quello che è, per quello che rappresenta. Se osservate attentamente
le periferie cittadine, dove spesso avviene l’incontro tra i due mondi,
noterete che ci sono molti spazi vuoti, abbandonati, lasciati a se
stessi. Ecco, solo se si recupera il valore intrinseco di questi
elementi si arriverà a un paesaggio compiuto, bello nella sua
interezza». E qui riaffiora il suo concetto di «Terzo paesaggio», ossia
una geografia di aiuole incolte, di spazi non coltivati, un erbario di
specie poco conosciute come emanti, nerine, colchici. Clément si fa così
portavoce di un paesaggio politico», dove architettura e agricoltura si
fondono nel nome di un intento. «So1ida1e, ecumenico, universale —
afferma — e dove ogni cosa si fonde con l’altra in un disegno profondo.
Prendiamo il Jardin DeMain a Montpellier (che Clément ha contribuito a
progettare, ndv), dove un giardino é nato da un parcheggio abbandonato.
Un giardino collettivo, che coinvolge gli abitanti della zona. Ecco,
l’unione tra città e campagna, architettura e agricoltura, avviene
attraverso questi gangli inabitati, zone incolte che possono servire
anche in una definizione identitaria del luogo». Già, perché nell’esperienza di Montpellier si difende e si alimenta la biodiversità,
altro tema molto caro a Clément e imprescindibile nella definizione del
Next Landscape, «La diversità non deve essere marginalità — continua —
anzi. Proprio perché viviamo in un mondo in continuo movimento, in
mutazione, bisogna rispettare questa libertà delle specie, questo
fiorire quasi “anarchico”». Tema, questo, che Clément affronta nel suo
penultimo libro Il giardino in movimento, dove invoca una natura non
assoggettata al progetto, bensì guida stessa del progetto, anima muta di
uno svolgimento naturale, libero. «Qualche volta vedo un’interazione
sbagliata tra la città e la campagna — continua il paesaggista — perché é
come se volessero sfruttarsi a vicenda. In un’ottica non di fusione ma
di conquista. O di puro fine estetico, tendenza che ritrova spesso nei
giardini privati interni alle città». Clément ha anche studiato un
progetto di riqualificazione dell’area archeologica di Tuvixeddu, vicino
a Cagliari. Ma il suo messaggio va oltre l’architettura per diventare
metafora della condizione umana. Non progettare rigidamente ma
ascoltare; non dividere né mescolare ma applicare il principio osmotico;
non imporre, bensì cooptare; per dirla con le sue, bellissime parole:
«Considerare la non organizzazione come un principio vitale grazie al
quale ogni organizzazione si lascia attraversare dai lampi della vita.
Avvicinarsi alla diversità con stupore». Così la campagna potrebbe
riavvicinarsi alla città senza né diffidenza né spirito di conquista. Ma
con armonia.