Agenti autonomi e sistemi multiagente. Con questo titolo sintomatico
Michele Di Stefano (mente del collettivo teatrale MK) e Margherita
Morgantin, schiudono un discorso pedagogico – e andragogico – sulle
declinazioni attuali del corpo per produrre una serie di istruzioni
utili a conoscere da una parte lo “spazio pieno della differenza”,
dall’altra quello “vuoto della possibilità”. Si tratta di un agile
volume, di un manuale – gli autori preferiscono la parola “sussidiario” –
nato in occasione della seconda edizione di Accademie Eventuali (a
Bologna dal 10 al 23 settembre 2012), “progetto formativo dedicato agli
studenti delle Accademie di Belle Arti italiane” che prevede la
realizzazione di una serie di laboratori condotti da due artisti
provenienti da differenti ambiti disciplinari. Esercizio per vivere
meglio e per distendere la mente, Agenti autonomi e sistemi multiagente
invita lo studente e, in generale, il lettore, a compiere un viaggio tra
i dedali di “una zona specifica del linguaggio”. Una “zona di eco
semantica intorno alle parole, un’area periferica delle implicazioni del
linguaggio nella vita” attorno alla quale avviare un processo educativo
(attivo!) necessario per ristabilire un equilibrio, un ritmo corporeo
che trova nella danza del “geroglifico animato” (Artaud) e
nell’apparente assenza di senso – nella convulsione di un corpo che
risponde a impulsi primari – un codice primario che si dilata e dirama
nel quotidiano.
Il corpo, “spietata topia” a detta di Michel Foucault, è, allora, luogo
di un andamento didattico che ritorna alle origini del discorso. Di un
discorso – di un ordre du discours – che punta l’indice su quel “gesto
performativo” in grado di sintetizzare “la ricerca di nuovi stati di
equilibrio, singolarmente e di gruppo”. Ma anche l’apertura a tematiche
comunitarie, e a un codice comportamentale, quello proprio del
performer, che privilegia lo spaesamento – l’ostranenie conoscitiva di
sklowslijana memoria – “a condizione”, però, che si “resti consapevoli»,
suggeriscono gli autori, «del processo di appropriazione e traduzione
del reale”. Di un modello che resta per tutti l’orizzonte dentro il
quale non solo si tesse la trama dell’opera (Trimarco), ma si
costruiscono percorsi e discorsi sull’umano e su quello che umano non è.