Recensioni / Gilles Clément, Breve storia del giardino: e altro ancora

Molti anni sono passati da quando qualcuno mi rimproverò di non avere delle ferree “categorie filosofiche”. Ancora oggi non so bene dove risieda il ferreo in una categoria filosofica.
Mi scuso se inizio queste righe con un ininfluente dettaglio personale, ma è solo per dire che non possedere questa intransigente teoreticità mi permette di guardare con grande e silente ammirazione Gilles Clément che traccia il punto centrale e aureo relativo alla metà del tragitto tra Lucrezio e Walter Benjamin. A questo punto il lettore sarà convinto che io abbia anche seri problemi spazio temporali. È possibile, ma l’autore di Breve storia del giardino sono certa che, come le sue vagabonde, come l’eterno movimento del suo giardino, conceda al lettore questa che più che un anacronismo è un’asicronia ben più utile di quella che sempre più spesso si stabilisce tra essere umano e natura.

Se infatti in Lucrezio l’hortus epicureo, quel luogo lontano dalle tempeste della vita, ma non certo sede dell’otium, deflagra e si amplia fino a comprendere tutto il pianeta e appare magnifico e solenne anche, forse soprattutto, senza la presenza umana e la sua affaticata ὕβρις, spesso inutile tentativo di piegarla al suo volere, in Benjamin gli orti berlinesi e la cura quotidiana e amorevole dei loro proprietari assumeva un’importanza tale da divenire, al pari dei passages parigini, il segnale di un’interiorità collettiva che nelle pagine del filosofo si faceva vero e proprio nodo teorico. (segue)