Recensioni / Paolo Rosselli e la mobilità dello sguardo

Paolo Rosselli marca le pareti con riflessi, sovrapposizioni, attese. E un’insolita, probabilmente ritrovata, trasparenza. E come in un cerchio magico, le recentissime fotografie di Milano richiamano una parte d’India, immortalata quarant’anni prima. Da Alessandro De March, a Milano, fino all’8 novembre. Negli ultimi anni Paolo Rosselli (Milano, 1952) ha fotografato l’architettura e il territorio urbano svelando rapporti d’attesa reciproci e tracce di reminiscenze solide tra le due dimensioni. Le sue prese dall’obiettivo hanno fatto coincidere, come legami improvvisamente rinsaldati, edifici e tessuti urbani di tutto il mondo, mostrando come veli sovrapponibili: distanze segnaletiche, passanti, vetrine, scritte al neon, colori violacei, lucori riflettenti e transiti senza precisa collocazione nello spazio. All’interno di Scena mobile, ultima personale del fotografo milanese, il percorso mette in luce quarant’anni di ricerca visiva combinatoria e di misteriosa sospensione dal reale. Decine di inquadrature, prevalentemente orizzontali, esposte a grappolo o in linea retta, fanno emergere una piacevole discontinuità formale, tra l’inizio e la fine di questa mostra, disposta al piano inferiore. Scena mobile, infatti, risulta un viaggio che torna al principio, presentando la Milano di oggi, immortalata dal cruscotto dell’auto, come similitudine inversa di un’India ancora vuota, immersa nel bianco e nero di quarantanni prima. Se idealmente si potessero equiparare sullo stesso piano, magari sovrapponendole, le fotografie nette di City Life con gli affastellamenti estemporanei dell’India anni Ottanta, Paolo Rosselli, ne siamo sicuri, ritroverebbe nuove connessioni, conservate e poi trasformate dagli anni. Solo allora, come per magia le parole del fotografo diventerebbero immagine, ricordando che: “il documento fotografico non è scomparso, ha solo una forma più sintetica che comprime tutto in una sola immagine in cui quasi tutto è incluso, persone comprese”.